18 novembre 2019

Diario di un'ipocondriaca, i'm back

Photo by Dmitry Ratushny on Unsplash

Finalmente ho dato un nome alla mia vita. Che a dire la verità, qui è anche un po' nata. O meglio, ha avuto una seconda rinascita.

E come sempre, come ogni volta, qui ci ritorno quando ho voglia di sentirmi a casa. Quando ho bisogno di scrivere ma non posso farlo. A che punto stiamo?

Che stiamo invecchiando, e non troppo bene: ma se dovessi fare un "punto della situazione", infondo non sarebbe nemmeno così male. Ma quando gli acciacchi prendono il sopravvento e la tua parte psicologica non riesce a uscirne, beh, allora sei ufficialmente entrata nel circolo delle ipocondriache.

Alt. Spezzo (stavo scrivendo lancio ahimé), una lancia a favore delle ipocondriache di questo mondo: come dice la mia ginecologa, "beh tanto pazza non devi essere visto che poi te ne trovano di ogni". E lì tiri un sospiro di sollievo, lo ammetto.

Perché spesso ti senti pazza, forse lo sei anche, ma ancor più difficile è trovare il supporto giusto per condiverci e superare le situazioni.

Se non hai un bravo medico della mutua, altro che sigarette: i tuoi soldi se ne andranno in visite continue e abbastanza imbarazzanti, dove cercherai una risposta e ogni volta sarà differente. Curerai una cosa e si sputtanerà un'altra di conseguenza.

Sono ormai passati due anni da aver tolto la tiroide. Due anni abbastanza da schifo. I 20 centimetri di schifezza che si sono allargati dentro di me, hanno fatto sì che, andandosene, la mia postura diventasse quella di un'altra persona. Ergo: la cervicale ha deciso di vivere una vita indipendente e come tutte le brave adolescenti di questa terra farmi impazzire (peccato che non so se passerà mai questa fase adolescienzale).

A saperlo avrei fatto il corso di nave sicura, forse i giramenti avrei potuto gestirli meglio. La testa? Ah, simpatico elemento di disturbo continuo in questa classe poco coordinata. L'emicrania con aura ha iniziato a tornare prepotente poco dopo l'operazione.

Ne avevo giù avuto il piace da ragazza ma poi per molto tempo ha deciso di trasferirsi all'estero e onestamente non ho avuto nemmeno il piacere di salutarla, ma non mi è dispiaciuto poi così tanto. Poi come tutte le morosità che arrivano insieme, eccola tornata cattiva e violenta.

E via libera i neurologi, ma questa è ormai una storia lunga, tanto da aver deciso di dedicare una sezione apposta. Sempre che le maledette lucine non mi si presentino all'improvviso.

L'intestino? Sembra un po' l'alunno nerd: testa bassa, comodo nell'angolo e silenzioso. Poi appena si parla di lui o decide che deve assolutamente proseguire nelle sue mirabolanti avventure online, si sveglia e ti travolge.

Poi ci sono i dolori, le intolleranze e la gola: sono quelli che fanno sempre casino a tutte le ore: li interroghi e non rispondono, per poi ulrare 10 minuti dopo. Dico 10 eh, mica mezz'ora. Qui, qui e qui, ma anche là, più su e più giù.

Dimenticavo il ferro, una relazione ormai finita da anni: lui insiste a darmi fastidio, ma io proprio non lo metabolizzo e non riesco a metterlo al suo posto.

Insomma è una classe davvero indisciplinata e si impegna fin troppo: spesso vorrei fosse molto più sottotono, ma che volete farci, questa mi hanno dato da gestire....

Il lavoro? Discretamente uno schifo da tre anni, ma meglio non entrare nel merito: sopravvivere così però, meriterebbe un oscar alla carriera e qualche anno in meno di bonus per entrare nelle pensioni anticipate.

Casa? Fantastica! Ci avete creduto? Scherzavo ovviamente. Samuele è ormai 1.90 e ogni volta che tento di menarlo con le mani mi fratturo qualcosa, mentre le ciabatte che tento di usare dopo essermi fratturata, mi denunciano per violenza. Un 48 di piede e due mani che sono badili, sono ormai abbastanza ingestibili.

Se ci mettiamo che tra una settimana fa 14 anni, se potessi opterei per una petizione a favore dell'abolizione dell'adolescenza (sì, la stessa citata prima), ma a dire la verità, credo sia stato uno dei periodo più belli e più di merda contemporaneamente che uno debba vivere al meglio.

La mia dolce metà? L'amicizia diventa una gran bella cosa dopo 21 anni di matrimonio, se solo si riuscisse almeno a diventare amici.

Ecco, insomma, siam qui. Con la paura di morire ogni giorno, con il terrore che un taglietto sia un'emorragia incommensurabile e incurabile, con la paura di mille cose, ma siamo qui. E si sorride anche, a volte!

Sono davvero un po' tornata a casa. E coi capelli grigi, che spero diventino presto tutti bianchi. La libertà non ha prezzo, e almeno questa è stata una decisione saggia. (Almeno spero).

Dimenticavo, voi tutto bene?

23 gennaio 2019

Basket e sport: genitori colpevoli. Ma è sempre così?


Ho letto tutto, ho letto botte e risposte. Ho letto commenti e assistito ad applausi a scena aperta. Peccato che nel basket giovanile non funziona sempre e solo così.

Partiamo dal presupposto che quello è sì un buon allenatore, ma qualche punto da una visione diversa, lo vorrei dare. Chi sono? Mamma di un U14 (stessa categoria di 13 enni) giocatore in Elite e arbitro da sempre in attesa del corso che lo renda un professionista (bisogna averne compiuti 13 per poterlo fare) e io, genitore che fa tavoli da anni, che sta sugli spalti e urla, dirigente per qualche anno.

Insomma, io, che ho sempre giocato a pallavolo, ormai sono fagocitata da questo sport che ritengo ancora uno sport sano e non lo cambierei per nulla al mondo.

Ma, ho dei "ma" abbastanza "tonici" sulla questione in generale.
Tanto di più dopo la partita di ieri sera. Perché ci sono anche le infrasettimanali su una settimana di 3 partite e quasi altrettanto allenamenti dalle 19 alle 21 come media.
Tanto di più da quando si gioca in un girone di agonismo.

Difendo i genitori? Nì. Nel senso che ho imparato a stare zitta il più delle volte, ma mi domando, per prima cosa, quanto vengano realmente formati questi giovani arbitri. Perché non si può fischiare un time out con palla in campo (e dire che non aveva sentito il fischio - se non lo hai sentito non lo puoi fischiare), o fischiare ogni singolo fallo a 30 secondi dalla fine in una partita interminabile su cui i falli erano davvero a caso, i passi quelli di Samsung Healt che ti fanno vincere le sfide e un cronometro a quanto pare rotto (che però omologhi sulla partita dove non è umano nè pensabile giocare così in un FIP) e con netta vittoria di una delle due squadre.... (e ce ne sarebbero mille altri di esempi, chissà perché ultimamente si vedono spesso i supervisori in campo).

Ni che non vuol dire "difesa", perché nessuno ha diritto di offendere nessun'altro, ma ciò non dovrebbe accadere nemmeno al forum... ma può scappare.

Ecco, ritorno a noi: mio figlio ha fatto l'arbitro. Tante, parecchie volte.

Dal minibasket, fino alla sua stessa età lo scorso anno: ne ha ricevute di ogni, di offese. Ma da mamma gli ho detto: "Se vuoi fare l'arbitro devi essere superiore, perché lo sai dove sei. Sbagli, fa nulla. Devi essere sicuro dei tuoi errori. E sempre a testa alta.". Beh, più di una squadra avversaria si è congratulata con noi (dopo le offese dagli spalti) e con lui, chiedendo anche scusa. E una di queste, lo ha addirittura chiamato a casa loro nella fase del ritorno per quanto è stato bravo. Fortuna? Non credo solo quella.

Non ha fatto corsi, ha arbitrato sempre di cuore e di coscienza. Passione per uno sport. Fondamentale. Ha sbagliato, certo. Ha cercato di essere sempre equo. Ma è riuscito ad andare oltre.

Oltre soprattutto, non tanto ai genitori, tanto quanto agli allenatori che si è trovato sul cammino. Perché quando un allenatore dice "Voi genitori non dovete dare mai le colpe agli arbitri perché se lo fate date alibi ai ragazzini", uno ci sta pure. Ma se poi l'allenatore offende, vive di tecnici, litiga ogni santa volta proseguendo ad oltranza l'attacco, beh, forse qualcosa non va.

E pensate che dal tavolo l'allenatore sia un santo? Tra bestemmie, offese, spergiuri, trick e track e bombe a mano, lo spettacolo va in scena. Contro i ragazzi e contro gli arbitri. Ma facile dire: è tutta colpa dei genitori, state zitti.

Avrei talmente tanti nomi da citare di allenatori che attaccano gli arbitri, da fare l'elenco. E' un cane che si morde la coda.

Forse il genitore non sarà mai giustificabile, ma dalla panchina deve esserci la regola (data) rispettata. E allora bravo questo allenatore, anche se non si può di certo fermare ogni partita, sicuramente stronzi i genitori che affondano su un ragazzino (che però forse è meglio non faccia quel ruolo), ma calma con la solita e facile scusa: è tutta colpa dei genitori, meglio non ci siano.

I genitori sbagliano? Si gioca a porte chiuse, non si smette una partita. Fuori tutti. 

Perché i campioni si crescono prima in casa che in campo, ma si formano su quest'ultimo. E quando ti trovi di fronte un tuo coetaneo che mentre fa canestro si gira e ti dice "Fottiti e stai zitto, col dito sulla bocca a moh di silenzio", ecco, li non è colpa del genitore, ma dell'allenatore e di come li educa. Perché quello è ancora, a questa età: un educatore. E se si disconosce come tale, quello che lui cresce, sarà uno di quei genitori cretini sulle gradinate (oltre che a un pessimo giocatore, se non perderà anche la voglia di giocare).

E non deve permettersi di dare dei "coglioni" in campo (allenamento o meno), che non deve mettere in un angolo nessuno senza spiegazione, che non è nè mamma né papà, che le mani (si ho visto allenatori alzare le mani) vanno tenute in tasca a dirla educatamente, e la crescita che deve "sfiorare" un allenatore, rientra in un limite ben preciso. Non tutte le giovanili vivono il basket come divertimento, il divertimento ormai è cosa rara, purtroppo. Non per altro, si cambia squadra a malincuore.

Perché si chiede troppo, sempre di più, oltre. Oltre lo studio, le uscite con gli amici, la non consapevolezza di un 13enne che ha tutti i diritti di imparare, oltre alla paura, al timore, alla voglia di avere un sogno, di fare gruppo. E qui non ci si può permettere di non avere arbitri o mandare dei ragazzini da soli che non siano in grado di reggere il peso dei loro coetanei. E che non sappiano fare scelte. Perché di mostri davanti ne trovi 2, non 1.

E se gli allenatori così, si possono contare sulle dita di una mano (che poi si chiama "avere empatia" con la squadra che dovrebbe essere una dote naturale per chi fa questo lavoro), allargate gli orizzonti: ce ne sono altri 100 che vogliono vincere, che non sanno fare gli educatori, e credono che la parola empatia sia una brutta, bruttissima malattia.

Noi ci assumiamo tutte le colpe del caso, lo dico da genitore che a volte si morsica la lingua e a volte anche no, ma partiamo qualche volta anche dal campo (e qui lo dico anche da dirigente perché poi coi ragazzi ci parli, e ci parli anche tanto a volte....).
E' sul campo che si cresce con la palla a spicchi, e lì, noi, non dovremmo nemmeno metterci piede.

(...se lo facciamo, un motivo ci sarà).






Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Cerca nel blog

Archivio blog