30 gennaio 2018

Può un libro cambiarti la vita?



Può un libro cambiarti la vita?

Può una storia snocciolarti davanti ciò che pensi da sempre e raccontarti una persona che conosci da poco come nessun altro?

Può. La verità è che davvero può. Se poi c'è una storia nella storia, la situazione diventa così meravigliosa che sarebbe un film. Cioè?

Questo libro è arrivato in regalo. Incartato in una semplicissima carta da pacco di una bellezza così pura come una margherita: un fiore da campo così immensamente complesso da essere semplicissimo. Sopra una scritta: Per Elena.

Arriva da una persona che conosco da poco, che non posso considerare ancora "amica", ma forse si è rivelata molto di più di quello che penso. Mi ha regalato un libro che ho letteralmente divorato in due giorni. Divorato, riempito di ricordi, pensato, amato, sottolineato talmente tanto che rimarrà a vita un concentrato di punti da leggere e rileggere.

"Hai mai letto L'ultima riga delle favole?"

In un primo momento non ho nemmeno ben capito, mi sembrava una frase ad affetto. Gramellini non lo conosco in verità, lo ammetto. "A me non piace molto, ma in questo libro si è superato, dovresti leggerlo".


22 gennaio 2018

L'insostenibile leggerezza dell'amore: amo i folli, i pazzi, gli sbagliati.



Oggi ho fatto il tiramisù. Niente di particolare in effetti.

Se non fosse che quando cucino dolci in quantità adatte a sfamare anche il resto del paese, qualcosa non va. E' sempre stata una valvola di sfogo la cucina, per me.
Lo sanno bene i miei colleghi, ogni qualvolta ho riversato su di loro quintalate di dolci realizzati nel weekend in preda a crisi isteriche.

Non sono intollerante a nessun alimento: è già il secondo anno che faccio tutti i test del caso e nemmeno l'ombra di un piccolo rigonfiamento sulle braccia.

Ho capito ormai che la mia intolleranza è nei confronti delle persone. 

Di alcune persone, specifico. E nella fatti specie, per rincarare la dose, il tipo di persone che senza volerlo, continuo a incontrare in questi ultimi anni. E di cui me ne innamoro follemente.

Non nel modo canonico, no, sarebbe troppo facile. Me ne innamoro perché ho la sindrome da crocerossina che non mi abbandona mai: mi piacciono le persone difficili, quelle tristi, quelle che non sono mai contente, quelle incapaci di provare (ormai), qualsiasi tipo di sentimento.

Sono la mia sfida quotidiana al mio essere così romantica e sognatrice. Ma sono anche il mio massacro emotivo. Odi et amo, odio il latino ma mai nessuna frase potrebbe essere più azzeccata.

E onestamente non mi spiego perché insisto ad avere persone così nella testa. 

Non sono persone che portano positività nella vita, eppure credo che quello che riescano a concederti, sia in realtà mille volte di più di quello che possono darti gli altri. Perché non ne sono più capaci e quelle poche volte che lo fanno, ha un valore aggiunto.

Il problema vero è che su un milione di parole pesanti, gesti inutili e dannosi, schizzi e schizzetti mentali, rifiuti e preconcetti, c'è una singola volta che esistono. In un modo carino. Solo che a quelle come me non basta mai. E ci provi e ci riprovi perché sei convinta che le persone possano cambiare a qualsiasi età.

Che le persone possano smussare i loro spigoli, possano (ri)tornare a sorridere nonostante le peggio cose che la vita gli abbia riservato. Perché quella rabbia che io mi porto dentro, è una rabbia viva, è una rabbia che ha fame di vita, non di morte.

Odio la gente che non riesce ad avere fame di vita, quella a cui va tutto bene. Lo zen è un campo più che minato per quanto mi riguarda; tanto quanto chi vive non avendo più voglia di nulla e non sapendo che le labbra, quando sorridono, sono la parte più bella di qualsiasi viso.

Vi siete mai innamorati di un sorriso? Io sì, e fidatevi, è meraviglioso. Se poi quel sorriso era rivolto a voi, sappiate che non lo dimenticherete così facilmente.

Più vedo quei sorrisi e più mi innamoro di questa insostenibile leggerezza dell'amore, che si manifesta in mille sfaccettature, ma sempre e soltanto in quei rapporti che avranno sempre un filo in acciaio a sostenerli e legarli. Che sia amicizia, fratellanza, amore di coppia, poco, anzi pochissimo importa.

Odio et amo.

Amo i folli, amo quei capelli che non sono mai al loro posto, perché ogni posto è quello giusto se riesci a essere te stesso,

amo quella gentilezza d'animo nascosta da un'armatura in acciaio, che si manifesta quando meno te l'aspetti e sa tagliare l'ipocrisia dei miserabili senza parole,

amo il vagone dei sognatori poco raccomandabili, perché su quello ci viaggio pure io: dove ci si affanna per (in)seguire difficoltosi viaggi di testa che tendono all'infinito.

Amo la polvere, le mani sporche di terra, di lavoro, di sesso, di carezze,

amo gli occhi che si abbassano, che di quelli così pieni e sicuri di sè stessi non ne abbiamo bisogno, non c'è mare dove buttarsi lì, la profondità è troppo piccola per poterlo farlo.

Amo le facce coperte dai cappucci delle felpe, che si perdono dietro a milioni di pensieri mentre intorno piove di tutto, mentre si escogitano tramonti e si dipingono albe perché il nero stanca, come stanca la normalità.

Amo le urla che non sanno smettere perché dentro esplode il mondo, mentre l'anima va a fuoco,

amo i silenzi difficili, creati da catene per aiutarsi a dimenticare, scappare, nascondersi, mentre vorresti correre, abbracciare, morire tra le sue braccia che no, non ci sono.

Amo gli insensati, quelli che agiscono senza ragionare, quelli che corrono sotto la pioggia a prenderla tutta e poi si fermano ad assaggiarla a bocca aperta,

quelli che non hanno paura: gli sbagliati, che con le loro menate mentali non sanno dove andare.

Amo i pazzi, i folli, quelli che sanno ridere mentre piangono, mentre il cuore si spacca in miliardi di pezzi ma l'ultimo ricordo è quello più dolce e bello che si possa avere.

Amo i difficili, quelli che non ci sono riusciti, quelli che "avrei voluto", quelli che non ne sono stati capaci e non lo saranno nemmeno un domani,

amo gli interrotti, che comunque sia vanno avanti, con la testa tra le mani e gli sbuffi, e lo sguardo corrucciato e le negatività che nascondono un cuore grande.



E niente. E poi c'è che amo te, imperfetto, noioso e nemmeno lontanamente infallibile: amo te come non credo sia possibile fare, senza difese, senza paura, senza legame... senza l'amore che tutti conoscono.... Solo come i folli sanno fare.

L’amore lo riconosci in un modo preciso: quegli occhi lì ce li hai solo per quegli occhi lì.





19 gennaio 2018

Essere genitori di un giovane atleta. [Come dovremmo essere]




Essere genitori di un atleta, tanto più se giovane, non è poi così semplice. Presente!

Mamma di Samuele, 12 anni. Appassionato, no scusate preciso, ammalato di basket. Già difficile essere genitori, ancora peggio genitori di un figlio in fase adolescenziale che è un giovane atleta.

Ma come dovrei essere sul campo e fuori, per essere una buona madre "sportiva"? 

Partiamo subito a razzo: l'emozionalità che consegue nell'avere un piccolo atleta in erba (ogni scarrafone è bello a mamma soia) in casa, spesso rischia di rovinare anche il nostro ruolo di tifosi: scatta l'urlo e il nervosismo ed è un attimo che diventa "l'insostenibile leggerezza della tribuna". Adrenalina per la vittoria e tristezza per la sconfitta, in realtà, non dovrebbero influenzare il ruolo: un genitore deve rimanere sempre un genitore, tifoso, ma nient'altro.

Ma come sempre, in Italia i tuttologi si sprecano ed ecco che siamo tutti allenatori, direttori sportivi, preparatori atletici, fisioterapisti, giornalisti, istruttori e soprattutto grandi allenatori. Troppo spesso siamo grandi, grandissimi allenatori con un'esperienza ventennale. 

In realtà sarebbe meglio essere solo genitori, probabilmente basterebbe e avanzerebbe

Il primo vero mantra di tutto è questo: mai entrare mai nelle scelte tecniche. Ripetetevelo fino alla nausea, fino a quando non ne sarete così convinti da farlo in automatico.



Esiste uno dei tanti libri americani, in cui ci sono almeno 9 ottimi suggerimenti da stampare e imparare a memoria: "Sport psychology for coaches and parents" di Smith and Kays

1) Applaudire e incitare, non sbraitare urlando 

I nostri ragazzi non sono noi. Non sono quelli che non siamo stati e mai lo saranno. Sono dotati di una loro personalità, una loro vita, una loro sfera. Inutile rimproverarli ogni volta dagli spalti: perché quando il tono di voce si alza, quello è il concetto. Mai essere giudicanti, mai fargli percepire che proprio noi non accettiamo i loro risultati, critichiamo il loro allenatore, accusiamo i loro compagni. 
Restiamo fuori dalle parti tecniche: e se dobbiamo discutere di qualcosa, approfondiamo direttamente con il coach in privato. A prescindere dal risultato, sarà sempre il massimo impegno e la massima voglia a farlo entrare in campo. 

2) La regola delle 24 ore

Aspettiamo sempre questo tempo per riparlare o riprendere argomenti da chiarire. Dopo 24 ore l'emotività può e riesce ad essere controllata: ciò aiuta a mantenere il ruolo di genitore e non di allenatore (niente parte tecnica, ricordate?)

3) Lasciare che l'allenatore alleni

Scontato? Non così tanto, in realtà. Puoi non essere d'accordo con lui, ma il ruolo e l'uomo che hai di fronte, deve essere prima di tutto rispettato. Se c'è qualcosa per cui discutere, sarà sicuramente disponibile a farlo in privato, lontano da tuo figlio. E se proprio ti dovessi scontrare con chi non ti piace, hai sempre una validissima alternativa: andare altrove.

4) Evviva il senso dell'umorismo

Divertimento. Sempre e comunque. Se no lasciate perdere e continuate a mandare vostro figlio al campetto dell'oratorio: avrà molte meno menate e tornerà a divertirsi. Vincere o perdere una gara non cambierà di sicuro l'assetto dell'asse terrestre. Ciò significa che comunque, ogni santa partita, deve rimanere un gioco. Sicuramente sarà un'ottima giornata se la vittoria arriverà, ma è anche vero che se il ragazzo avrà un continuo senso di stare bene e divertirsi, le vittorie stesse arriveranno. 

5) Direttori di gara e arbitri: la pazienza prima di tutto

Partiamo dal presupposto che ce li mangeremmo in un sol boccone, respiriamo, fermiamoci, e pensiamo che prima di tutto sono essere umani che amano lo sport e non si sentono poi nemmeno così bene ad avere folle di genitori urlanti che inveiscono contro di loro. Esistono gli errori, anche da parte loro. Portiamo pazienza.

6) Le colpe specifiche lasciale da parte

Non esiste mai un solo motivo per aver vinto una partita, ma nemmeno per averla persa. Come una squadra che è composta da diversi elementi e altrettante sfaccettature, anche queste due conclusioni hanno lo stesso DNA. Non sarà mai solo colpa di un unico giocatore, quindi evita di incolpare chiunque, ma considera tutti. Ed evita proprio di incolpare.

7) Età e capacità relative all'età

Punto numero 1: solo chi non impara nulla, non fa errori. Infatti ogni volta che un bambino fa un errore, sta apprendendo il modo per migliorare. L'errore non è mai intenzionale in questo caso, quindi la pazienza della crescita porterà i risultati dovuti. Inutile volere un percorso di un'età differente.

8) Sii un ottimo esempio

Appunto. Se proprio ci pensiamo non è che lo siamo così tanto sugli spalti, a dire il vero...
Santa adolescenza, prega per noi! Lo sapete che è proprio in questo momento il picco in cui i ragazzi ci vedono come esempi? Siamo le persone più importanti al mondo, e loro spugne che osservano e imparano da noi. Quindi i nostri comportamenti e le nostre parole sono ciò che andrà a formare le loro basi di adulti. Facciamoci delle domande prima di agire e dire...

9) Insegna ma non fare pipponi

Anche qui sembra semplice, ma non è proprio così. Racconta ai tuoi figli delle tue esperienze e chiedigli delle loro; cerca di entrare nel loro mondo, ma non pretendere che loro entrino nel tuo: non ne sono ancora in grado.
Nessuno ama il cazziatone dopo aver sbagliato; insegnagli la vita, non dare lezioni sulla vita.

Anno nuovo, vita nuova. Spero che questo 2018 riesca a farmi diventare più tifosa e meno allenatrice, più mamma e meno tecnico. E soprattutto porti a lui tutto ciò che di meglio posso insegnargli. 

Dentro e fuori dal campo.




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