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18 aprile 2018
Io ero, sono, sarò: quando il tumore NON ti rende meno donna
Facile finché non ti sfiora. Facile anche non pensarci finché va tutto bene. Eppure il tumore, che a definirlo cancro in effetti fa più male, è molto più brutto, c'è. C'è in troppe, troppissime persone.
E qualcuno ancora se lo porta via, purtroppo. Ancora oggi nel 2018. Quello al seno è per eccellenza il tumore della donna. Si è portato via una mia amica poco tempo fa. E' sempre troppo poco il tempo quando le persone che ami se ne vanno via.
Il mese scorso ho accompagnato mio padre a fare degli esami. Quel tipo di esami rientravano nella parte Cancer Center: giovani, anziani, uomini donne e bambine. Sostanzialmente se non ti viene, sei solo fortunato.
Ho ancora negli occhi, il viso di una ragazza con il turbante in testa (si sprecano i turbanti, li!): era di una bellezza devastante nonostante la terapia e i non capelli. Sono uscita distrutta; è una cosa che mi ha sempre scalato dentro, non riesco a far finta di nulla....
Ancora di più dopo che nel mio istologico la scritta micro-.carcinoma l'ho vinta pure io. E mi è andata bene, certo. Piccolo, incapsulato, da non bombardare di radio. Ma vivo. Preso in tempo.
E ho il seno pieno di noduli. A ogni ecografia e mammografia c'è solo da incrociare le dita per quanto possa servire. Che è un po' come dire una preghiera senza incrociare le dita. A giugno torniamo a rifare tutto. Ogni sei mesi. Sopra e sotto.
Come dire, sarò sempre presente su iniziative come queste che racchiudono due argomenti verso i quali la mia sensibilità iniziare a suonare tipo allarme anticendio: donne e tumori.
Io ero, sono, sarò, è un progetto fotografico, nato da un’idea di Coop Lombardia e realizzato dalla fotogiornalista Silvia Amodio, con lo scopo di attirare l’attenzione sulla diffusione del tumore al seno. La mostra sarà composta da 50 fotografie di grande formato e accompagnata da un catalogo che conterrà tutti gli scatti realizzati, corredati dalle rispettive storie e da una serie di interventi scientifici e istituzionali.
Rimarrà aperta e visitabile, gratuitamente, dal 19 maggio al 19 giugno al Castello Sforzesco di Milano tutti i giorni dalle 7.30 alle 19.30. Io ero, sono, sarò: prima, durante e dopo la malattia.
Misurarsi con il dolore non è facile, ma è stato proprio attraverso il confronto con le donne che il progetto ha preso forma strada facendo. Chi ha deciso di partecipare al progetto lo ha fatto per celebrare la vita.
“Ho pensato di utilizzare un velo come filo conduttore, un vezzo tipicamente femminile visto che la parte colpita, il seno, è simbolo di femminilità. Questo tessuto mi ha consentito di “giocare” sul set con le mie modelle e (s)velare non solo le parti del corpo colpite dal male, ma anche le cicatrici profonde e non sempre visibili. Ogni volta dovevo inventare un modello diverso in accordo con i desideri della signora ritratta in quel momento, ciascuna con il proprio percorso e con un diverso rapporto con un corpo ferito.". Così racconta Silvia di questi scatti, che a guardarli non ci puoi che leggere la speranza di un futuro migliore e l'enorme coraggio di mettersi in gioco.
Io onestamente ve la consiglio. Nessuno è indenne. Meglio imparare da queste meravigliose donne.
Per info: http://www.ioerosonosaro.it/
Un intero pomeriggio con musica, performance e l’inaugurazione de La scuola delle Erbe di Ricola. Da non perdere!
Domenica 22 aprile 2018, al MA*GA di Gallarate (VA) si chiude la mostra Kerouac. Beat Painting che presenta 80 tra dipinti e disegni, in gran parte esposti per la prima volta in Italia, capaci di proiettare una luce del tutto inedita sull’attività artistica del padre della Beat Generation.
Per festeggiare insieme al pubblico il successo dell’esposizione, il MA*GA organizza un pomeriggio ricco di eventi a ingresso gratuito.
Dalle ore 15.00 e per tutto il pomeriggio, Gigi Longo, collaboratore di Radio Popolare di Milano con la trasmissione Prospettive Musicali, propone Diz, Bird and Miles on the road and beyond, una selezione di brani jazz degli anni ‘50 e ’60 che accompagnano le avventure dei protagonisti del capolavoro di Jack Kerouac.
Alle ore 16.00, spazio a Un mondo battuto dal vento, una performance a cura del Dipartimento Educativo del Museo, con gli studenti del Liceo Coreutico Musicale Pina Bausch, diretta da Lorenzo Conti con la collaborazione musicale del sound-designer Gianluca Agostini.
Dal digitale all’analogico, dallo smartphone al taccuino, e dal taccuino alla macchina da scrivere, alla ricerca della propria voce e del proprio battito interiore. La prima parte di questo percorso si è svolta nel mese di gennaio con un laboratorio di scrittura che a partire dalla lettura dei taccuini di Kerouac, scritti tra il 1947 e il 1952, ha coinvolto gli studenti di terza e quarta superiore de I Licei del Viale dei Tigli nella redazione di un proprio taccuino dove raccogliere idee, spunti, riflessioni, appunti. Al termine del laboratorio ciascuno studente ha “donato” in forma anonima alcune sue pagine per la costruzione di un’unica grande partitura collettiva.
Gli studenti del Liceo Coreutico Musicale Pina Bausch hanno lavorato alla mise en espace et son dei materiali originali trasformando le parole in partitura gestuale e musicale sotto la supervisione registica di Lorenzo Conti e la collaborazione musicale del sound-designer Gianluca Agostini.
Alle ore 17.00, si tiene l’inaugurazione de LA SCUOLA DELLE ERBE. Il giardino delle 13 erbe officinali Ricola al MA*GA e la premiazione dei progetti vincitori in occasione della Giornata Mondiale della Terra.
Il progetto “La scuola delle Erbe. Il giardino delle 13 erbe officinali Ricola al MA*GA”, nato dalla partnership tra Museo MA*GA e Ricola e realizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore Falcone di Gallarate, promuove valori ambientali e di formazione centrali per tutti i partner.
I professori coordinatori del progetto sono Stefano Zoerle (progetto architettonico), Tito Olivato (realizzazione), Luisa Re (grafica), Maurizio Cavazzoni (fotografia).
Il sapere distintivo di Ricola sulle caratteristiche e le varietà delle erbe si coniuga con i differenti ambiti formativi dell’I.S. Falcone e trova un suo compimento nella creazione di un particolare giardino botanico all’interno di un luogo che valorizza formazione e cultura.
Gli alunni provenienti dall’indirizzo alberghiero, grafico e fotografico, si sono impegnati su 3 fronti: la progettazione architettonico-paesaggistica del giardino, l’ideazione delle infografiche e la realizzazione della documentazione video e fotografica di tutto il progetto.
Questo piccolo spazio verde rappresenta un virtuoso esempio di sinergia tra una realtà aziendale da sempre attenta ai valori culturali, un Museo pronto ad aprirsi verso l’esterno attraverso una fitta rete di collaborazioni sempre nuove e diverse, e un’istituzione scolastica convinta del valore formativo delle arti contemporanee.
Le caramelle e le tisane Ricola, che nascono dalla tradizionale miscela di 13 erbe balsamiche, formula segreta dal 1940, e i biscotti prodotti dai ragazzi dell’I.S. Falcone addolciranno l’appuntamento.
Finissage
KEROUAC. BEAT PAINTING
Gallarate, Museo MA*GA (via E. De Magri 1)
Domenica 22 aprile 2018, dalle ore 15.00
Ingresso gratuito
Mostra
KEROUAC. BEAT PAINTING
Fino al 22 aprile 2018
Informazioni: T. 0331.706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it
Orari: martedì-venerdì, 9.30|12.30 - 14.30|18.30; sabato e domenica, 11.00|19.00
Ingressi: €7,00 intero; €5,00.
Catalogo: Skira
05 marzo 2018
Muore Astori e Kobe trionfa agli Oscar con Dear Basketball: quando lo sport è lacrime e gioia insieme. Con la stessa passione.
Credo che chiunque, anche non sportivo, ieri sia stato letteralmente fulminato dalla morte di Astori, il capitano della Fiorentina.
Noi lo abbiamo saputo proprio alla fine della partita di Samuele, quando la gioia per la vittoria si è tramutata in un momento di pura incredulità, oltre che di dolore. Oltre che i suoi tifosi e non, lascia una compagna e una figlia, cosa non da poco a 31 anni. Troppo pochi per volare via così.
Come il minuto di silenzio, che purtroppo, non siamo riusciti a fare.
Mentre tutti abbiamo pensato a lui, anche durante le votazioni (perché pure quelle abbiamo avuto), questa notte, nella lunghissima notte degli Oscar, lo sport è stato ancora una volta protagonista della giornata.
Ma con una bella notizia, una bella emozione, con lo sport che tanto vive in casa mia: il basket. E con un corto che quando ho visto, mi sono commossa come poche volte, sarà che pensavo a mio figlio, sarà che alcune volte le fiabe nella vita, esistono.
Ed esistono gli uomini che fanno le dichiarazioni d'amore alla moglie e alla figlia in un italiano meraviglioso davanti a una platea dove si è completamente pesci fuor d'acqua, eppure vincitori.
Ed esistono uomini che hanno seguito la loro passione e ci sono riusciti, sono arrivati persino in un mondo non loro.
Ecco che Bryant esce vincitore della statuetta come autore del miglior cortometraggio: ma non un cartone animato a caso. Dear Basketball è il corto animato basato sulle lettere che il giocatore scrisse in occasione del suo addio al basket.
Lontano dal parquet da quasi due anni ormai, il 39enne (cresciuto in Italia), cinque volte campione NBA con i Los Angeles Lakers e due volte campione olimpico, è riuscito ad abbattere una barriera, ovvero quella di far entrare lo sport in una serata dedicata esclusivamente al mondo del Jet Set. L'attenzione catalizzata sulla NBA e su questo sport che tanto amiamo anche qui, ha esaltato i suoi vent'anni da protagonista, ma anche tutto il mondo a cui appartiene.
"Caro basket, dal momento in cui ho iniziato ad arrotolare i calzettoni tubolari di mio padre per farne una palla, e in cui ho iniziato ad effettuare immaginari tiri vincenti sulla sirena del Great Western Forum di Los Angeles ho capito che mi ero innamorato di te".
"I tiri sulla sirena, le vittorie, i traguardi: sono diventati obiettivi da raggiungere. Attraversi difficoltà, infortuni, ma continui a lottare. E’ per questo che ho deciso di scrivere la mia storia".
"Non so se questo sia possibile. Noi giocatori di basket dovremmo stare zitti e giocare, e invece ho dimostrato che siamo qualcosa di più".
Keane, davanti a questo "mostro" della palla arancione, ha solo detto: "Meriti un “grazie” per aver scritto Dear Basketball perché hai spiegato al Mondo che, qualunque sia il sogno, attraverso il lavoro e la perseveranza, l’impossibile può diventare possibile".
"Ti amerò sempre, firmato Kobe", si conclude la sua lunga lettera al Basket. Ora con le sfumature oro della statuetta degli Oscar.
Sarebbe stato felice anche il nostro Astori, e infondo gliela dedichiamo tutta.
20 febbraio 2018
Il basket a colori: uno spettacolare playground effetto trompe l’oeil a Parigi
Se non lo avete mai visto e siete dalle parti di Parigi, non potete non farci un salto, o meglio due tiri.
Dove per la precisione? Tra gli edifici di Pigalle in Rue Duperré. Uno dei più spettacoli restyling creativi del mondo grazie alla collaborazione dei creativi di III-Studio con il brand di abbigliamento Pigalle e il contributo di Nike.
L'effetto trompe l'oeil tra fucsia, arancione e blu petrolio su una superficie di ben 480 metri quadri, crea un'atmosfera street play talmente futuristica da sentirsi protagonisti di un Blade Runner cestistico.
19 febbraio 2018
Marzo 2018: il mese del riciclo della carta. Tutti gli appuntamenti
Quest’anno, per la prima volta, marzo si vestirà di carta e cartone. Oltre 30 eventi in calendario in soli 31 giorni per la prima edizione del Mese del riciclo di carta e cartone, la campagna nazionale promossa e organizzata da Comieco, il Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo degli imballaggi a base Cellulosica, in collaborazione con la Federazione della Filiera della carta e della grafica, Assocarta e Assografici e Unirima e il patrocinio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Ma quanto è importante la carta nella vita degli italiani? Quanto ne sanno del suo ciclo di vita, di come viene recuperata e riutilizzata attraverso il riciclo?
19 gennaio 2018
Essere genitori di un giovane atleta. [Come dovremmo essere]
Mamma di Samuele, 12 anni. Appassionato, no scusate preciso, ammalato di basket. Già difficile essere genitori, ancora peggio genitori di un figlio in fase adolescenziale che è un giovane atleta.
Ma come dovrei essere sul campo e fuori, per essere una buona madre "sportiva"?
Partiamo subito a razzo: l'emozionalità che consegue nell'avere un piccolo atleta in erba (ogni scarrafone è bello a mamma soia) in casa, spesso rischia di rovinare anche il nostro ruolo di tifosi: scatta l'urlo e il nervosismo ed è un attimo che diventa "l'insostenibile leggerezza della tribuna". Adrenalina per la vittoria e tristezza per la sconfitta, in realtà, non dovrebbero influenzare il ruolo: un genitore deve rimanere sempre un genitore, tifoso, ma nient'altro.
Ma come sempre, in Italia i tuttologi si sprecano ed ecco che siamo tutti allenatori, direttori sportivi, preparatori atletici, fisioterapisti, giornalisti, istruttori e soprattutto grandi allenatori. Troppo spesso siamo grandi, grandissimi allenatori con un'esperienza ventennale.
In realtà sarebbe meglio essere solo genitori, probabilmente basterebbe e avanzerebbe.
Il primo vero mantra di tutto è questo: mai entrare mai nelle scelte tecniche. Ripetetevelo fino alla nausea, fino a quando non ne sarete così convinti da farlo in automatico.
Esiste uno dei tanti libri americani, in cui ci sono almeno 9 ottimi suggerimenti da stampare e imparare a memoria: "Sport psychology for coaches and parents" di Smith and Kays
1) Applaudire e incitare, non sbraitare urlando
I nostri ragazzi non sono noi. Non sono quelli che non siamo stati e mai lo saranno. Sono dotati di una loro personalità, una loro vita, una loro sfera. Inutile rimproverarli ogni volta dagli spalti: perché quando il tono di voce si alza, quello è il concetto. Mai essere giudicanti, mai fargli percepire che proprio noi non accettiamo i loro risultati, critichiamo il loro allenatore, accusiamo i loro compagni.
Restiamo fuori dalle parti tecniche: e se dobbiamo discutere di qualcosa, approfondiamo direttamente con il coach in privato. A prescindere dal risultato, sarà sempre il massimo impegno e la massima voglia a farlo entrare in campo.
2) La regola delle 24 ore
Aspettiamo sempre questo tempo per riparlare o riprendere argomenti da chiarire. Dopo 24 ore l'emotività può e riesce ad essere controllata: ciò aiuta a mantenere il ruolo di genitore e non di allenatore (niente parte tecnica, ricordate?)
3) Lasciare che l'allenatore alleni
Scontato? Non così tanto, in realtà. Puoi non essere d'accordo con lui, ma il ruolo e l'uomo che hai di fronte, deve essere prima di tutto rispettato. Se c'è qualcosa per cui discutere, sarà sicuramente disponibile a farlo in privato, lontano da tuo figlio. E se proprio ti dovessi scontrare con chi non ti piace, hai sempre una validissima alternativa: andare altrove.
4) Evviva il senso dell'umorismo
Divertimento. Sempre e comunque. Se no lasciate perdere e continuate a mandare vostro figlio al campetto dell'oratorio: avrà molte meno menate e tornerà a divertirsi. Vincere o perdere una gara non cambierà di sicuro l'assetto dell'asse terrestre. Ciò significa che comunque, ogni santa partita, deve rimanere un gioco. Sicuramente sarà un'ottima giornata se la vittoria arriverà, ma è anche vero che se il ragazzo avrà un continuo senso di stare bene e divertirsi, le vittorie stesse arriveranno.
5) Direttori di gara e arbitri: la pazienza prima di tutto
Partiamo dal presupposto che ce li mangeremmo in un sol boccone, respiriamo, fermiamoci, e pensiamo che prima di tutto sono essere umani che amano lo sport e non si sentono poi nemmeno così bene ad avere folle di genitori urlanti che inveiscono contro di loro. Esistono gli errori, anche da parte loro. Portiamo pazienza.
6) Le colpe specifiche lasciale da parte
Non esiste mai un solo motivo per aver vinto una partita, ma nemmeno per averla persa. Come una squadra che è composta da diversi elementi e altrettante sfaccettature, anche queste due conclusioni hanno lo stesso DNA. Non sarà mai solo colpa di un unico giocatore, quindi evita di incolpare chiunque, ma considera tutti. Ed evita proprio di incolpare.
7) Età e capacità relative all'età
Punto numero 1: solo chi non impara nulla, non fa errori. Infatti ogni volta che un bambino fa un errore, sta apprendendo il modo per migliorare. L'errore non è mai intenzionale in questo caso, quindi la pazienza della crescita porterà i risultati dovuti. Inutile volere un percorso di un'età differente.
8) Sii un ottimo esempio
Appunto. Se proprio ci pensiamo non è che lo siamo così tanto sugli spalti, a dire il vero...
Santa adolescenza, prega per noi! Lo sapete che è proprio in questo momento il picco in cui i ragazzi ci vedono come esempi? Siamo le persone più importanti al mondo, e loro spugne che osservano e imparano da noi. Quindi i nostri comportamenti e le nostre parole sono ciò che andrà a formare le loro basi di adulti. Facciamoci delle domande prima di agire e dire...
9) Insegna ma non fare pipponi
Anche qui sembra semplice, ma non è proprio così. Racconta ai tuoi figli delle tue esperienze e chiedigli delle loro; cerca di entrare nel loro mondo, ma non pretendere che loro entrino nel tuo: non ne sono ancora in grado.
Nessuno ama il cazziatone dopo aver sbagliato; insegnagli la vita, non dare lezioni sulla vita.
Anno nuovo, vita nuova. Spero che questo 2018 riesca a farmi diventare più tifosa e meno allenatrice, più mamma e meno tecnico. E soprattutto porti a lui tutto ciò che di meglio posso insegnargli.
Dentro e fuori dal campo.
25 settembre 2017
15 porte meravigliose in giro per il mondo: la bellezza di queste foto e dei loro particolari
Veri e propri biglietti da visita di un edificio, le porte contribuiscono spesso a creare scenari molto gradevoli agli occhi
Le porte, oggetti di estrema semplicità, nati più dall’utilità che da un inquieto spirito creativo, possono in realtà trasformarsi in qualcosa di unico. Vero e proprio biglietto da visita di una casa, esse sono tutt’altro che un dettaglio e possono contribuire, nel loro insieme, a creare scenari molto gradevoli agli occhi. Come le porte degli edifici di Notting Hill o, ancora, quelle di Burano, famose in tutto il mondo per la loro vivacità.
Accanto a queste, però, ne esistono molte altre al mondo: porte dalle grosse pennellate o dagli stili esotici, porte con murales o con miriadi di orpelli, porte enormi e porte lussuose. Hundredrooms ha raccolto alcune di esse, stilando un itinerario curioso che va dalla Colombia al Tibet, dalla Cina alla Tunisia, dall’Indonesia alla Spagna, dal Marocco all’Italia.
Copenhagen, Danimarca - Questa porta dal colore verde, situata nella comunità indipendente di Christiania, richiama la forma di un albero, ma anche di due figure simmetriche che si incontrano armonicamente.
La Palma (Canarie), Spagna - Una porta dalle grosse pennellate blu, che spicca per il netto contrasto con il nero della pietra vulcanica delle pareti. Un effetto molto piacevole agli occhi.
Fenghuang, Cina - Pavoni dalle code infuocate, somiglianti a draghi che sputano fiori dai colori accesi. La semplice descrizione di questa porta impressionante ci fa già capire di essere in Cina, dove questo stile è molto popolare.
Breslavia, Polonia - Una bellissima porta blu con elementi e motivi in oro che le conferiscono un’eleganza che non passa inosservata. Sembra quasi la porta d’ingresso di un palazzo reale.
Ostuni (Puglia), Italia - Nella calda e soleggiata Italia del Sud, questa porta si allinea perfettamente al contesto. Il blu intenso richiama il colore del mare, ma anche quello del cielo sovrastante. I cactus e il bianco delle pareti richiamano il fascino di una terra assolata come, appunto, la Puglia.
Guatape, Colombia - Anche i colori e lo stile di questa porta colombiana richiamano evidentemente uno scenario estivo, assieme alle piccole decorazioni a forma di barca, che spiccano su di uno sfondo azzurro. L’alternanza di rettangoli colorati su di uno sfondo chiaro è tipica del Paese sudamericano.
Little India, Singapore - Se al mondo esistessero altri colori, di sicuro verrebbero inclusi in queste porte dalla vivacità esplosiva, che di colori ne hanno da vendere. Situate a Little India, uno dei quartieri più caratteristici di Singapore, non sfuggono di certo agli occhi dei visitatori.
Londra, Regno Unito - Una porta stretta e antica, circondata dalle pareti rosse di un edificio chiamato Alice’s House. In essa figurano personaggi dagli abiti medievali, ma anche la rappresentazione delle diverse stagioni dell’anno.
Jaipur, India - Una porta dallo stile tipicamente indiano, ricco di elementi etnico-orientali, dettagli in oro e rappresentazioni naturali, come i fiori ai lati dell’ingresso. Tutto ciò, nel complesso, dà l’impressione di essere di fronte a un grande tappeto persiano.
Chiang Mai, Thailandia - Il dipinto di una pagoda nella montagna di Inthanon è realizzato in questa particolare porta in legno di Chiang Mai, una delle città più popolose della Thailandia.
Tangeri, Marocco - Una porta dalla forma orientaleggiante molto popolare nelle medine del Marocco. Il contorno è caratterizzato da onde di colori che si alternano dando un effetto quasi psichedelico.
Mosca, Russia - Questa porta di Mosca presenta dei motivi ricorrenti all’interno di riquadri perfettamente disposti. Osservando i bordi rossi e lo stile classico di questa porta, sembra di fare un tuffo nel passato, in quell’epoca sovietica dove vigeva la severa legge dell’ordine.
Tibet - Più che da una porta, questo edificio tibetano è “protetto” da una tenda dai colori vivaci e dallo stile puramente orientale che, di certo, non è meno bella di una classica porta.
Bali, Indonesia - Una tradizionale porta che si suole incontrare in quest’isola esotica e affascinante. Interamente ricoperta di foglie e motivi floreali, tra i quali si confondono le maniglie altrettanto stilose.
Funchal, Portogallo - Le porte del centro storico di Funchal sono famose per i loro graffiti. In particolare, quella qui raffigurata, con numeri e tabelline, è chiaramente la porta di una scuola.
10 agosto 2017
La storia che ebbe inizio una notte di San Lorenzo di 12 anni fa, che voi ci crediate o meno.
E venne il giorno. Anche di questo 2017.
La notte delle lacrime di San Lorenzo, ovvero la notte delle stelle cadenti. Quella dove con il naso all'insù si esprimono desideri da realizzare.
Perché è il festival della speranza, della ricerca di qualcosa che può arrivare dall'alto. (Anche se di magico in realtà ha ben poco, ma sicuramente di scientifico parecchio, con le Perseidi e la loro pioggia di meteroriti).
Certo, non per chi fa dei sogni quel tramonto e quell'alba di ogni giorno esattamente come me.
La tradizione popolare collega il fenomeno delle Perseidi al martirio di San Lorenzo, bruciato nel 258 proprio in questo giorno. Ecco perché in Italia le stelle cadenti sono chiamate anche "Lacrime di San Lorenzo". Per me, alla fine, resta soltanto la notte del mio bambino.
E della storia che ebbe inizio una notte di San Lorenzo di 12 anni fa. Libero ognuno di scegliere di ascoltarla, crederci o semplicemente darmi della pazza. Io so solo che mi ha cambiato la vita.
Lollo era morto a gennaio. Passarono i mesi tra lacrime, depressione, lavoro, solito tran tran se non quello di tornare ogni volta a casa e crollare. Passano i mesi e arriva estate: generalmente intorno a questa data siamo in montagna dai miei genitori.
Non troppo lontano da Milano, ma abbastanza per poter vedere il cielo senza tutto quell'interferenza luminosa a cui siamo abituati.
Naso all'insù, coperta. Lacrime e stelle cadenti. Ricordi, speranze, un unico desiderio. Mi addormento per pochi minuti. Sogno Lorenzo, bello, anzi bellissimo (si sa, ogni scarrafone è bello a mamma sua).
"Mamma sto bene, non preoccuparti. e non piangere. Sai, arriverà un bambino dopo di me, non so dirti se maschio o femmina, ma starà bene. Io sono qui mamma, non ti lascio. Ora sorridi".
Non facile come approccio di una qualsiasi notte di San Lorenzo direi: la testa gioca brutti scherzi, si sa. Lascio in qualche modo correre, se non che le lacrime erano più le mie che rispetto alle stelle cadenti.
E ripassano i mesi. Si prosegue, si tenta di superare il trauma. Vorrei un figlio, per me avere un figlio è un sogno. E', per la gioia di chi non capisce, la mia realizzazione come donna. Poco mi interessa essere un grande manager. Voglio essere mamma. E Lorenzo me lo ha strappato troppo presto. E' ingiusto.
Passano i mesi. Pomeriggio se non ricordo male di primavera appena iniziata. Avete presente di quando ti addormenti quella mezz'ora sul divano e manco te ne accorgi?
Era il periodo di Cogne, del povero Samuele, massacrato dalla madre.
"Ciao mamma. Sono tornato. Senti mamma, mi devi fare un favore. - Lorenzo aveva una tutina bianca, stava con mia nonna Elsa, era felice ma preoccupato- Mamma, ascoltami. Qui in cielo dove sono io, quando arriva qualche bambino che non è stato bene giù, appena qualche altro bambino sano viene chiamato con lo stesso nome, gli danno la Stella della buona salute e della buona speranza. Ecco mamma, ora te lo dico. Arriverà un maschietto, sarà sano ma tu lo devi chiamare Samuele. Perché qui c'è un bambino che ha tanto bisogno di quella Stella per stare bene, ora. Non preoccuparti per me, arriverà anche il mio turno, ti voglio bene. Andrà tutto bene".
Mi sono svegliata in preda al panico, lo ammetto. Sudata, sconvolta, felice al tempo stesso, agitata. Ho cercato mio marito e i miei genitori.
"Ho sognato Lollo, mi ha detto questo. Si deve chiamare Samuele se accade". E mia mamma ricordo ancora mi disse: "Ma Samuele non è un nome "nostro", è un nome strano...".
Poco importa. Pensai. Era di nuovo venuto Lorenzo.
Questa volta ne passarono pochi di mesi. Durante una passeggiata un mal di pancia conosciuto la volta precedente mi mise in allerta. Tornando giù dalla montagna, il test in farmacia. Ero di nuovo incinta. Panico. Gioia. Panico.
La villocentesi per scoprire se la malattia si fosse riproposta, il test del DNA.
Passarono giorni. Un incubo in attesa di una telefonata. Che arrivò. Niente malattia, il bambino (o bambina), era sano.
In Mangiagalli ci diedero gli esiti. "Signora se ora vuole andare a prendere il risultato del DNA e vedere il sesso vada di là".
Ricordo ancora che ci accolse una dottoressa molto carina.
"Tutto bene anche per il DNA, niente assenze o presenze strane. Vuole sapere il sesso?".
"Grazie, ma lo so già. E' un maschio".
"E come fa a saperlo?"
"Non importa. Sappia solo che si chiamerà Samuele".
Sono passati altri 7 mesi circa. Lorenzo per me, da quando è morto, è diventato (non chiedetemi il motivo) un passerotto. La notte prima di entrare in ospedale, stesa sul letto della camera con la tv accesa e il panico che avanzava, un passerotto si è posato sul davanzale ed è stato lì parecchio tempo. Ci osservavamo.
Tra 3 mesi Samuele compirà 12 anni. Per chi ci crede, il suo significato deriva dall'ebraico Shemu'el, composto da shem, 'nome' e da El, abbreviazione di Elohim, 'Dio, Signore' e significa quindi 'il suo nome è Dio'.
Un significato non indifferente. Quando qualcuno ancora oggi mi chiede: "Perché Samuele?".
Perché lo ha scelto suo fratello. E non è da tutti avere un angelo custode così.
[Nè una stella cadente così importante, buon naso all'insù].
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