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23 gennaio 2019
Basket e sport: genitori colpevoli. Ma è sempre così?
Ho letto tutto, ho letto botte e risposte. Ho letto commenti e assistito ad applausi a scena aperta. Peccato che nel basket giovanile non funziona sempre e solo così.
Partiamo dal presupposto che quello è sì un buon allenatore, ma qualche punto da una visione diversa, lo vorrei dare. Chi sono? Mamma di un U14 (stessa categoria di 13 enni) giocatore in Elite e arbitro da sempre in attesa del corso che lo renda un professionista (bisogna averne compiuti 13 per poterlo fare) e io, genitore che fa tavoli da anni, che sta sugli spalti e urla, dirigente per qualche anno.
Insomma, io, che ho sempre giocato a pallavolo, ormai sono fagocitata da questo sport che ritengo ancora uno sport sano e non lo cambierei per nulla al mondo.
Ma, ho dei "ma" abbastanza "tonici" sulla questione in generale.
Tanto di più dopo la partita di ieri sera. Perché ci sono anche le infrasettimanali su una settimana di 3 partite e quasi altrettanto allenamenti dalle 19 alle 21 come media.
Tanto di più da quando si gioca in un girone di agonismo.
Difendo i genitori? Nì. Nel senso che ho imparato a stare zitta il più delle volte, ma mi domando, per prima cosa, quanto vengano realmente formati questi giovani arbitri. Perché non si può fischiare un time out con palla in campo (e dire che non aveva sentito il fischio - se non lo hai sentito non lo puoi fischiare), o fischiare ogni singolo fallo a 30 secondi dalla fine in una partita interminabile su cui i falli erano davvero a caso, i passi quelli di Samsung Healt che ti fanno vincere le sfide e un cronometro a quanto pare rotto (che però omologhi sulla partita dove non è umano nè pensabile giocare così in un FIP) e con netta vittoria di una delle due squadre.... (e ce ne sarebbero mille altri di esempi, chissà perché ultimamente si vedono spesso i supervisori in campo).
Ni che non vuol dire "difesa", perché nessuno ha diritto di offendere nessun'altro, ma ciò non dovrebbe accadere nemmeno al forum... ma può scappare.
Ecco, ritorno a noi: mio figlio ha fatto l'arbitro. Tante, parecchie volte.
Dal minibasket, fino alla sua stessa età lo scorso anno: ne ha ricevute di ogni, di offese. Ma da mamma gli ho detto: "Se vuoi fare l'arbitro devi essere superiore, perché lo sai dove sei. Sbagli, fa nulla. Devi essere sicuro dei tuoi errori. E sempre a testa alta.". Beh, più di una squadra avversaria si è congratulata con noi (dopo le offese dagli spalti) e con lui, chiedendo anche scusa. E una di queste, lo ha addirittura chiamato a casa loro nella fase del ritorno per quanto è stato bravo. Fortuna? Non credo solo quella.
Non ha fatto corsi, ha arbitrato sempre di cuore e di coscienza. Passione per uno sport. Fondamentale. Ha sbagliato, certo. Ha cercato di essere sempre equo. Ma è riuscito ad andare oltre.
Oltre soprattutto, non tanto ai genitori, tanto quanto agli allenatori che si è trovato sul cammino. Perché quando un allenatore dice "Voi genitori non dovete dare mai le colpe agli arbitri perché se lo fate date alibi ai ragazzini", uno ci sta pure. Ma se poi l'allenatore offende, vive di tecnici, litiga ogni santa volta proseguendo ad oltranza l'attacco, beh, forse qualcosa non va.
E pensate che dal tavolo l'allenatore sia un santo? Tra bestemmie, offese, spergiuri, trick e track e bombe a mano, lo spettacolo va in scena. Contro i ragazzi e contro gli arbitri. Ma facile dire: è tutta colpa dei genitori, state zitti.
Avrei talmente tanti nomi da citare di allenatori che attaccano gli arbitri, da fare l'elenco. E' un cane che si morde la coda.
Forse il genitore non sarà mai giustificabile, ma dalla panchina deve esserci la regola (data) rispettata. E allora bravo questo allenatore, anche se non si può di certo fermare ogni partita, sicuramente stronzi i genitori che affondano su un ragazzino (che però forse è meglio non faccia quel ruolo), ma calma con la solita e facile scusa: è tutta colpa dei genitori, meglio non ci siano.
I genitori sbagliano? Si gioca a porte chiuse, non si smette una partita. Fuori tutti.
Perché i campioni si crescono prima in casa che in campo, ma si formano su quest'ultimo. E quando ti trovi di fronte un tuo coetaneo che mentre fa canestro si gira e ti dice "Fottiti e stai zitto, col dito sulla bocca a moh di silenzio", ecco, li non è colpa del genitore, ma dell'allenatore e di come li educa. Perché quello è ancora, a questa età: un educatore. E se si disconosce come tale, quello che lui cresce, sarà uno di quei genitori cretini sulle gradinate (oltre che a un pessimo giocatore, se non perderà anche la voglia di giocare).
E non deve permettersi di dare dei "coglioni" in campo (allenamento o meno), che non deve mettere in un angolo nessuno senza spiegazione, che non è nè mamma né papà, che le mani (si ho visto allenatori alzare le mani) vanno tenute in tasca a dirla educatamente, e la crescita che deve "sfiorare" un allenatore, rientra in un limite ben preciso. Non tutte le giovanili vivono il basket come divertimento, il divertimento ormai è cosa rara, purtroppo. Non per altro, si cambia squadra a malincuore.
Perché si chiede troppo, sempre di più, oltre. Oltre lo studio, le uscite con gli amici, la non consapevolezza di un 13enne che ha tutti i diritti di imparare, oltre alla paura, al timore, alla voglia di avere un sogno, di fare gruppo. E qui non ci si può permettere di non avere arbitri o mandare dei ragazzini da soli che non siano in grado di reggere il peso dei loro coetanei. E che non sappiano fare scelte. Perché di mostri davanti ne trovi 2, non 1.
E se gli allenatori così, si possono contare sulle dita di una mano (che poi si chiama "avere empatia" con la squadra che dovrebbe essere una dote naturale per chi fa questo lavoro), allargate gli orizzonti: ce ne sono altri 100 che vogliono vincere, che non sanno fare gli educatori, e credono che la parola empatia sia una brutta, bruttissima malattia.
Noi ci assumiamo tutte le colpe del caso, lo dico da genitore che a volte si morsica la lingua e a volte anche no, ma partiamo qualche volta anche dal campo (e qui lo dico anche da dirigente perché poi coi ragazzi ci parli, e ci parli anche tanto a volte....).
E' sul campo che si cresce con la palla a spicchi, e lì, noi, non dovremmo nemmeno metterci piede.
(...se lo facciamo, un motivo ci sarà).
05 luglio 2018
I figli son pezzi 'e core, ma anche no: la stronzaggine impera
Considerazione più seria che non, sui figli. Che ogni volta mi scappa se accade qualcosa.
Nella fattispecie la difesa spasmodica di alcune mamme nei confronti dei loro pargoli, che sono tutto fuorché santi. E nonostante prove schiaccianti, trovino chissà in quale santo modo, una giustificazione concreta alla difesa.
So già che dopo questo post mi scriverà l'intera galassia che si sentirà attaccata in primo luogo, ma rilassatevi: dopo anni che ascolto, vivo, sento e osservo i nostri dodicenni, riguarda tutti e nessuno.
Detto e premesso che se mi tocchi Samuele, chiunque tu sia, sei generalmente un qualsiasi essere morto e defunto a morsi, sono convinta però di una cosa: che ci siano delle situazioni, dei comportamenti e delle regole che vanno rispettate e insegnate.
Ma non a 12 anni, già a 6, se non prima.
Del tipo, pescando a caso tra un milione:
* Le mani addosso non si mettono
* Non si tradiscono gli amici
* Non si va dove tira il vento
* Qualsiasi esclusione e/o decisione presa a cazzo su un singolo è un atto di bullismo, non una stupidata
(dalla rete: E’ possibile distinguere tra bullismo diretto (che comprende attacchi espliciti nei confronti della vittima e può essere di tipo fisico o verbale) e bullismo indiretto (che danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il danneggiamento dei suoi rapporti di amicizia)
* Essere onesti sempre
* Dire le cose in faccia (e qui se manco i genitori lo fanno, te raccomando a cascata)
Probabilmente ce ne dovrebbero essere altri mille, il problema è che non esistono. E soprattutto finché alla gente non viene toccato il proprio bambino, va tutto bene e tutti sono santi.
Ma no, non è così, la realtà, bravi o sbagliati che siamo noi genitori, i ragazzini di oggi sono proprio degli stronzi. Che sanno comportarsi come tali. Viziati, supponenti, gasati.
E la cosa peggiore è come i genitori NON affrontino i problemi.
Resto ben orgogliosa dell'essere così ragazzino di Samuele in modo indifferente fuori e dentro, almeno sai con chi ti relazioni. Odio le doppie facce. Preferisco che sia ancora un bamboccione. Che fa cazzate, ma mai con quella malizia che vive purtroppo in molti suoi coetanei.
Odio i mesi passati accanto alle persone per poi lasciarle all'angolo della strada. (E poi parlano degli animali...).
Ma a casa mia, anche chiedere scusa ha un valore. E dovrebbe averlo tanto di più per i genitori che se ne fottono ampiamente; anzi se li chiami diventi subito barbablù o l'orco cattivo a seconda della favola che hanno intenzione di vivere.
Non si sa più nemmeno chiedere scusa. E quando si chiede, si punta lo stesso il dito contro chi ha sbagliato. Manco avesse ucciso qualcuno.
Si studia tanto il bullismo nelle scuole: direi che ha un ottimo risultato.
Quanto mi piacerebbe dire a tutti quei genitori che i loro angioletti danno delle troie alle ragazze come mangiare bruscolini (che poi anche qui si aprirebbe una voragine sul comportamento del mi piace uno ogni nano secondo e ci sto insieme ma poi no, meglio l'alto e allora me li giro tutti), di come si ammazzano a vicenda sul darsi degli stronzi rompicoglioni (e uso i termini duri apposta ma reali), per poi andarci in giro a braccetto all'occorrenza.
Ma anche di come si debbano frequentare perché lo vogliono i genitori, ma non è così tra loro. Tutto ciò non fa altro che creare un circolo di falsità che Beautiful ci fa una pippa in paese.
Già, dimenticavo: siamo in un paese. Il bene e il peggior male.
Si salva solo chi non è nè carne e nè pesce. Quelli che li metti lì, e lì stanno, quelli che ecco, io non vorrei mai che Samuele appartenesse a questa categoria. NON si può essere amici di tutti, né tanto meno piacere a tutti, perché in realtà vuol dire non piacere a nessuno.
Bisogna fare delle scelte, anche sbagliate. Senza escludere nessuno perché tu (e per tu intendo un qualsiasi nano di 12 anni che dovrebbe essere ancora preso a calci in culo), hai deciso che l'altro non va più bene mentre tu ti sei messo la corona. A scuola, al parco, al cesso, nella vita.
L'amicizia è altro, e quando lo scopriranno saranno spero ancora in tempo per calibrare il loro modo di vivere, in questo mondo che ormai non fa più sconti a nessuno, e ti fa vivere solo come un cane.
Eravamo più puliti noi. E più sinceri. A casa una volta c'era l'ignoranza di non sapere perchè si era poveri, perché si viveva diversamente, perché la strada e l'oratorio era la casa di tutti. Ora in casa l'ignoranza impera senza motivo. Attenzione! Ignoranza nel senso di ignorare. Che è molto peggio.
Ma la ruota gira.
E girerà su chiunque. E chiunque si ritroverà a piangere quando quelli che pensava fossero i suoi amici lo escluderanno, lo prenderanno per il culo, gli fregheranno la ragazza e quant'altro.
Si sbaglia, io sbaglio ogni santo, santissimo giorno con mio figlio: ma sa benissimo che l'amicizia è un VALORE. Lui sbaglia, sbaglia ogni santo, santissimo giorno. E quando ha sbagliato ha saputo rendersene conto e io di certo, non l'ho difeso. Anzi, l'ho massacrato.
Non sono cazzate. Se si massacrano ora a 12 anni, a 16 si sparano. E io con quello che succede nel mondo non ci scherzerei così tanto.
Anzi, se penso a Samuele, a volte vorrei fosse molto più sveglio e molto più stronzo. Ma fortunatamente gli ho insegnato l'educazione e di non massacrare per divertimento le persone. Ne subirà le conseguenze lo so, ma sarò al suo fianco quando il boomerang tornerà dritto tra i denti degli altri.
E rideremo delle lacrime versate, e gli racconterò le mie. Che ci sono ancora adesso, ma che imparerò a gestire. Come?
A 44 anni sto andando dalla psicologa. Dice che devo sapermi mettere davanti agli altri. E salverò anche lui da questo errore.
Preferisco essere così. Preferisco sia così. Avere la fortuna di guardare gli occhi di qualcuno con lo stomaco e il cuore leggeri, è tutto ciò che la vita sa davvero darti.
Il sorriso dato da questo non ha prezzo.
Quelli che fanno così (mica sono tutti così), invece hanno un prezzo. Ed è una cosa proprio triste.
Noi no, e va bene così.
02 luglio 2018
I corpicini dei bimbi morti in mare: quando la polemica è macro e non ci si sofferma sul micro (cosmo) che ci circonda
Non so quanti status ho letto su quei poveri bambini recuperati morti e di cui ci sono le foto ovunque. E ieri ne ho pure commentato uno. Si, a me hanno fatto stare male. Male a dire poco.
Ma ecco, voi che parlate di corpicini morti, di scarpine allacciate, di vestitini rossi, forse non sapete che non accade solo ai profughi.
Si lo so, sono monotona. Eppure quando io ho dovuto scegliere quale delle tutine mettere al mio bambino da morto, ecco, credo come quelle mamme, di averci messo tutto l'amore del mondo per vestire il mio bambino.
Lorenzo non è morto in mare, ma come loro non ne aveva colpa nemmeno lui. Martina non è morta in mare, ma nemmeno lei ne aveva colpa.
Certo, io ho avuto "la fortuna" di poterlo seppellire. Loro hanno potuto tentare di cambiare vita. La giustizia poi nelle cose, onestamente penso si sia perduta da troppo tempo.
Ma ecco, voi che parlate di corpicini morti, di scarpine allacciate, di vestitini rossi, forse non sapete che non accade solo ai profughi.
Si lo so, sono monotona. Eppure quando io ho dovuto scegliere quale delle tutine mettere al mio bambino da morto, ecco, credo come quelle mamme, di averci messo tutto l'amore del mondo per vestire il mio bambino.
Lorenzo non è morto in mare, ma come loro non ne aveva colpa nemmeno lui. Martina non è morta in mare, ma nemmeno lei ne aveva colpa.
Certo, io ho avuto "la fortuna" di poterlo seppellire. Loro hanno potuto tentare di cambiare vita. La giustizia poi nelle cose, onestamente penso si sia perduta da troppo tempo.
Lorenzo, Martina e tutti gli altri piccoletti non erano figli di profughi, eppure anche noi genitori abbiamo tentato di fare delle scelte per salvarci e ne abbiamo fatte di impossibili per salvarli.
Non avete idea di quanto il "poverino", sia la parola più infelice e irritante della terra.
Cercate di capire: a me di Salvini & co fotte sega. È sempre facile parlare dalla parte dal lato forte. Ma si sa guardare solo il grande e spesso chi ti sta di fianco non sai nemmeno cosa abbia passato.
E ce ne sono tanti di Salvini & co nella vita che tanto hanno partorito e va tutto benissimo. E tornano a casa con la carrozzina da poter usare. E che ti guardano come se fossi un extraterrestre e la parola classica è "poverino".
E ce ne sono tanti di Salvini & co nella vita che tanto hanno partorito e va tutto benissimo. E tornano a casa con la carrozzina da poter usare. E che ti guardano come se fossi un extraterrestre e la parola classica è "poverino".
Non avete idea di quanto il "poverino", sia la parola più infelice e irritante della terra.
Certo che fa male. Certo che non dovrebbe essere cosi.
Ma nemmeno dovrebbero esserci bambini abbandonati, picchiati, abusati, malati.
I bambini non hanno mai colpe. E che siano vestiti di rosso, giallo, verde o blu e siano migranti, italiani o sa dio cosa, restano vittime innocenti.
Ma nemmeno dovrebbero esserci bambini abbandonati, picchiati, abusati, malati.
I bambini non hanno mai colpe. E che siano vestiti di rosso, giallo, verde o blu e siano migranti, italiani o sa dio cosa, restano vittime innocenti.
Ma non impietositevi solo davanti alla tv, magari la vostra vicina di casa ha appena abortito o seppellito il suo di bambino e non ci facciamo nemmeno caso.
Questo fa la differenza. So per certo che quei genitori piangeranno a vita la morte dei loro figli, ma sapranno di averci provato a dargli un mondo migliore.
Ora la polemica che ne è uscita è che le foto siano state photoshoppate: come se non si sapesse che muoiono ogni giorno i migranti in mare, come muoiono i piccoli siriani o qualsiasi altro bambino in ogni parte del mondo, in guerra o meno.
La gente sembra completamente rincoglionita: si preoccupa del macro senza pensare al micro.
Ora la polemica che ne è uscita è che le foto siano state photoshoppate: come se non si sapesse che muoiono ogni giorno i migranti in mare, come muoiono i piccoli siriani o qualsiasi altro bambino in ogni parte del mondo, in guerra o meno.
La gente sembra completamente rincoglionita: si preoccupa del macro senza pensare al micro.
C'è questo luogo sotto la sorella di una mia amica che purtoppo non c'è più da tanti anni. Questo è un luogo senza tempo ma pieno di storie se uno sa ascoltare.
Pieno di bambini e bambine.
E non è in mare, sulle coste o altrove. È a Lambrate. E io ogni volta che vado, ci perdo un pezzo di anima e ne esco distrutta (esattamente come a vedere quei bambini).
Sono tutti uguali.
È il mondo che dovrebbe essere migliore (a partire da noi adulti).
Pieno di bambini e bambine.
E non è in mare, sulle coste o altrove. È a Lambrate. E io ogni volta che vado, ci perdo un pezzo di anima e ne esco distrutta (esattamente come a vedere quei bambini).
Sono tutti uguali.
È il mondo che dovrebbe essere migliore (a partire da noi adulti).
18 aprile 2018
Io ero, sono, sarò: quando il tumore NON ti rende meno donna
Facile finché non ti sfiora. Facile anche non pensarci finché va tutto bene. Eppure il tumore, che a definirlo cancro in effetti fa più male, è molto più brutto, c'è. C'è in troppe, troppissime persone.
E qualcuno ancora se lo porta via, purtroppo. Ancora oggi nel 2018. Quello al seno è per eccellenza il tumore della donna. Si è portato via una mia amica poco tempo fa. E' sempre troppo poco il tempo quando le persone che ami se ne vanno via.
Il mese scorso ho accompagnato mio padre a fare degli esami. Quel tipo di esami rientravano nella parte Cancer Center: giovani, anziani, uomini donne e bambine. Sostanzialmente se non ti viene, sei solo fortunato.
Ho ancora negli occhi, il viso di una ragazza con il turbante in testa (si sprecano i turbanti, li!): era di una bellezza devastante nonostante la terapia e i non capelli. Sono uscita distrutta; è una cosa che mi ha sempre scalato dentro, non riesco a far finta di nulla....
Ancora di più dopo che nel mio istologico la scritta micro-.carcinoma l'ho vinta pure io. E mi è andata bene, certo. Piccolo, incapsulato, da non bombardare di radio. Ma vivo. Preso in tempo.
E ho il seno pieno di noduli. A ogni ecografia e mammografia c'è solo da incrociare le dita per quanto possa servire. Che è un po' come dire una preghiera senza incrociare le dita. A giugno torniamo a rifare tutto. Ogni sei mesi. Sopra e sotto.
Come dire, sarò sempre presente su iniziative come queste che racchiudono due argomenti verso i quali la mia sensibilità iniziare a suonare tipo allarme anticendio: donne e tumori.
Io ero, sono, sarò, è un progetto fotografico, nato da un’idea di Coop Lombardia e realizzato dalla fotogiornalista Silvia Amodio, con lo scopo di attirare l’attenzione sulla diffusione del tumore al seno. La mostra sarà composta da 50 fotografie di grande formato e accompagnata da un catalogo che conterrà tutti gli scatti realizzati, corredati dalle rispettive storie e da una serie di interventi scientifici e istituzionali.
Rimarrà aperta e visitabile, gratuitamente, dal 19 maggio al 19 giugno al Castello Sforzesco di Milano tutti i giorni dalle 7.30 alle 19.30. Io ero, sono, sarò: prima, durante e dopo la malattia.
Misurarsi con il dolore non è facile, ma è stato proprio attraverso il confronto con le donne che il progetto ha preso forma strada facendo. Chi ha deciso di partecipare al progetto lo ha fatto per celebrare la vita.
“Ho pensato di utilizzare un velo come filo conduttore, un vezzo tipicamente femminile visto che la parte colpita, il seno, è simbolo di femminilità. Questo tessuto mi ha consentito di “giocare” sul set con le mie modelle e (s)velare non solo le parti del corpo colpite dal male, ma anche le cicatrici profonde e non sempre visibili. Ogni volta dovevo inventare un modello diverso in accordo con i desideri della signora ritratta in quel momento, ciascuna con il proprio percorso e con un diverso rapporto con un corpo ferito.". Così racconta Silvia di questi scatti, che a guardarli non ci puoi che leggere la speranza di un futuro migliore e l'enorme coraggio di mettersi in gioco.
Io onestamente ve la consiglio. Nessuno è indenne. Meglio imparare da queste meravigliose donne.
Per info: http://www.ioerosonosaro.it/
30 gennaio 2018
Può un libro cambiarti la vita?
Può un libro cambiarti la vita?
Può una storia snocciolarti davanti ciò che pensi da sempre e raccontarti una persona che conosci da poco come nessun altro?
Può. La verità è che davvero può. Se poi c'è una storia nella storia, la situazione diventa così meravigliosa che sarebbe un film. Cioè?
Questo libro è arrivato in regalo. Incartato in una semplicissima carta da pacco di una bellezza così pura come una margherita: un fiore da campo così immensamente complesso da essere semplicissimo. Sopra una scritta: Per Elena.
Arriva da una persona che conosco da poco, che non posso considerare ancora "amica", ma forse si è rivelata molto di più di quello che penso. Mi ha regalato un libro che ho letteralmente divorato in due giorni. Divorato, riempito di ricordi, pensato, amato, sottolineato talmente tanto che rimarrà a vita un concentrato di punti da leggere e rileggere.
"Hai mai letto L'ultima riga delle favole?"
In un primo momento non ho nemmeno ben capito, mi sembrava una frase ad affetto. Gramellini non lo conosco in verità, lo ammetto. "A me non piace molto, ma in questo libro si è superato, dovresti leggerlo".
22 gennaio 2018
L'insostenibile leggerezza dell'amore: amo i folli, i pazzi, gli sbagliati.
Oggi ho fatto il tiramisù. Niente di particolare in effetti.
Se non fosse che quando cucino dolci in quantità adatte a sfamare anche il resto del paese, qualcosa non va. E' sempre stata una valvola di sfogo la cucina, per me.
Lo sanno bene i miei colleghi, ogni qualvolta ho riversato su di loro quintalate di dolci realizzati nel weekend in preda a crisi isteriche.
Non sono intollerante a nessun alimento: è già il secondo anno che faccio tutti i test del caso e nemmeno l'ombra di un piccolo rigonfiamento sulle braccia.
Ho capito ormai che la mia intolleranza è nei confronti delle persone.
Di alcune persone, specifico. E nella fatti specie, per rincarare la dose, il tipo di persone che senza volerlo, continuo a incontrare in questi ultimi anni. E di cui me ne innamoro follemente.
Non nel modo canonico, no, sarebbe troppo facile. Me ne innamoro perché ho la sindrome da crocerossina che non mi abbandona mai: mi piacciono le persone difficili, quelle tristi, quelle che non sono mai contente, quelle incapaci di provare (ormai), qualsiasi tipo di sentimento.
Sono la mia sfida quotidiana al mio essere così romantica e sognatrice. Ma sono anche il mio massacro emotivo. Odi et amo, odio il latino ma mai nessuna frase potrebbe essere più azzeccata.
E onestamente non mi spiego perché insisto ad avere persone così nella testa.
Non sono persone che portano positività nella vita, eppure credo che quello che riescano a concederti, sia in realtà mille volte di più di quello che possono darti gli altri. Perché non ne sono più capaci e quelle poche volte che lo fanno, ha un valore aggiunto.
Il problema vero è che su un milione di parole pesanti, gesti inutili e dannosi, schizzi e schizzetti mentali, rifiuti e preconcetti, c'è una singola volta che esistono. In un modo carino. Solo che a quelle come me non basta mai. E ci provi e ci riprovi perché sei convinta che le persone possano cambiare a qualsiasi età.
Che le persone possano smussare i loro spigoli, possano (ri)tornare a sorridere nonostante le peggio cose che la vita gli abbia riservato. Perché quella rabbia che io mi porto dentro, è una rabbia viva, è una rabbia che ha fame di vita, non di morte.
Odio la gente che non riesce ad avere fame di vita, quella a cui va tutto bene. Lo zen è un campo più che minato per quanto mi riguarda; tanto quanto chi vive non avendo più voglia di nulla e non sapendo che le labbra, quando sorridono, sono la parte più bella di qualsiasi viso.
Vi siete mai innamorati di un sorriso? Io sì, e fidatevi, è meraviglioso. Se poi quel sorriso era rivolto a voi, sappiate che non lo dimenticherete così facilmente.
Più vedo quei sorrisi e più mi innamoro di questa insostenibile leggerezza dell'amore, che si manifesta in mille sfaccettature, ma sempre e soltanto in quei rapporti che avranno sempre un filo in acciaio a sostenerli e legarli. Che sia amicizia, fratellanza, amore di coppia, poco, anzi pochissimo importa.
Odio et amo.
Amo i folli, amo quei capelli che non sono mai al loro posto, perché ogni posto è quello giusto se riesci a essere te stesso,
amo quella gentilezza d'animo nascosta da un'armatura in acciaio, che si manifesta quando meno te l'aspetti e sa tagliare l'ipocrisia dei miserabili senza parole,
amo il vagone dei sognatori poco raccomandabili, perché su quello ci viaggio pure io: dove ci si affanna per (in)seguire difficoltosi viaggi di testa che tendono all'infinito.
Amo la polvere, le mani sporche di terra, di lavoro, di sesso, di carezze,
amo gli occhi che si abbassano, che di quelli così pieni e sicuri di sè stessi non ne abbiamo bisogno, non c'è mare dove buttarsi lì, la profondità è troppo piccola per poterlo farlo.
Amo le facce coperte dai cappucci delle felpe, che si perdono dietro a milioni di pensieri mentre intorno piove di tutto, mentre si escogitano tramonti e si dipingono albe perché il nero stanca, come stanca la normalità.
Amo le urla che non sanno smettere perché dentro esplode il mondo, mentre l'anima va a fuoco,
amo i silenzi difficili, creati da catene per aiutarsi a dimenticare, scappare, nascondersi, mentre vorresti correre, abbracciare, morire tra le sue braccia che no, non ci sono.
Amo gli insensati, quelli che agiscono senza ragionare, quelli che corrono sotto la pioggia a prenderla tutta e poi si fermano ad assaggiarla a bocca aperta,
quelli che non hanno paura: gli sbagliati, che con le loro menate mentali non sanno dove andare.
Amo i pazzi, i folli, quelli che sanno ridere mentre piangono, mentre il cuore si spacca in miliardi di pezzi ma l'ultimo ricordo è quello più dolce e bello che si possa avere.
Amo i difficili, quelli che non ci sono riusciti, quelli che "avrei voluto", quelli che non ne sono stati capaci e non lo saranno nemmeno un domani,
amo gli interrotti, che comunque sia vanno avanti, con la testa tra le mani e gli sbuffi, e lo sguardo corrucciato e le negatività che nascondono un cuore grande.
E niente. E poi c'è che amo te, imperfetto, noioso e nemmeno lontanamente infallibile: amo te come non credo sia possibile fare, senza difese, senza paura, senza legame... senza l'amore che tutti conoscono.... Solo come i folli sanno fare.
L’amore lo riconosci in un modo preciso: quegli occhi lì ce li hai solo per quegli occhi lì.
19 gennaio 2018
Essere genitori di un giovane atleta. [Come dovremmo essere]
Mamma di Samuele, 12 anni. Appassionato, no scusate preciso, ammalato di basket. Già difficile essere genitori, ancora peggio genitori di un figlio in fase adolescenziale che è un giovane atleta.
Ma come dovrei essere sul campo e fuori, per essere una buona madre "sportiva"?
Partiamo subito a razzo: l'emozionalità che consegue nell'avere un piccolo atleta in erba (ogni scarrafone è bello a mamma soia) in casa, spesso rischia di rovinare anche il nostro ruolo di tifosi: scatta l'urlo e il nervosismo ed è un attimo che diventa "l'insostenibile leggerezza della tribuna". Adrenalina per la vittoria e tristezza per la sconfitta, in realtà, non dovrebbero influenzare il ruolo: un genitore deve rimanere sempre un genitore, tifoso, ma nient'altro.
Ma come sempre, in Italia i tuttologi si sprecano ed ecco che siamo tutti allenatori, direttori sportivi, preparatori atletici, fisioterapisti, giornalisti, istruttori e soprattutto grandi allenatori. Troppo spesso siamo grandi, grandissimi allenatori con un'esperienza ventennale.
In realtà sarebbe meglio essere solo genitori, probabilmente basterebbe e avanzerebbe.
Il primo vero mantra di tutto è questo: mai entrare mai nelle scelte tecniche. Ripetetevelo fino alla nausea, fino a quando non ne sarete così convinti da farlo in automatico.
Esiste uno dei tanti libri americani, in cui ci sono almeno 9 ottimi suggerimenti da stampare e imparare a memoria: "Sport psychology for coaches and parents" di Smith and Kays
1) Applaudire e incitare, non sbraitare urlando
I nostri ragazzi non sono noi. Non sono quelli che non siamo stati e mai lo saranno. Sono dotati di una loro personalità, una loro vita, una loro sfera. Inutile rimproverarli ogni volta dagli spalti: perché quando il tono di voce si alza, quello è il concetto. Mai essere giudicanti, mai fargli percepire che proprio noi non accettiamo i loro risultati, critichiamo il loro allenatore, accusiamo i loro compagni.
Restiamo fuori dalle parti tecniche: e se dobbiamo discutere di qualcosa, approfondiamo direttamente con il coach in privato. A prescindere dal risultato, sarà sempre il massimo impegno e la massima voglia a farlo entrare in campo.
2) La regola delle 24 ore
Aspettiamo sempre questo tempo per riparlare o riprendere argomenti da chiarire. Dopo 24 ore l'emotività può e riesce ad essere controllata: ciò aiuta a mantenere il ruolo di genitore e non di allenatore (niente parte tecnica, ricordate?)
3) Lasciare che l'allenatore alleni
Scontato? Non così tanto, in realtà. Puoi non essere d'accordo con lui, ma il ruolo e l'uomo che hai di fronte, deve essere prima di tutto rispettato. Se c'è qualcosa per cui discutere, sarà sicuramente disponibile a farlo in privato, lontano da tuo figlio. E se proprio ti dovessi scontrare con chi non ti piace, hai sempre una validissima alternativa: andare altrove.
4) Evviva il senso dell'umorismo
Divertimento. Sempre e comunque. Se no lasciate perdere e continuate a mandare vostro figlio al campetto dell'oratorio: avrà molte meno menate e tornerà a divertirsi. Vincere o perdere una gara non cambierà di sicuro l'assetto dell'asse terrestre. Ciò significa che comunque, ogni santa partita, deve rimanere un gioco. Sicuramente sarà un'ottima giornata se la vittoria arriverà, ma è anche vero che se il ragazzo avrà un continuo senso di stare bene e divertirsi, le vittorie stesse arriveranno.
5) Direttori di gara e arbitri: la pazienza prima di tutto
Partiamo dal presupposto che ce li mangeremmo in un sol boccone, respiriamo, fermiamoci, e pensiamo che prima di tutto sono essere umani che amano lo sport e non si sentono poi nemmeno così bene ad avere folle di genitori urlanti che inveiscono contro di loro. Esistono gli errori, anche da parte loro. Portiamo pazienza.
6) Le colpe specifiche lasciale da parte
Non esiste mai un solo motivo per aver vinto una partita, ma nemmeno per averla persa. Come una squadra che è composta da diversi elementi e altrettante sfaccettature, anche queste due conclusioni hanno lo stesso DNA. Non sarà mai solo colpa di un unico giocatore, quindi evita di incolpare chiunque, ma considera tutti. Ed evita proprio di incolpare.
7) Età e capacità relative all'età
Punto numero 1: solo chi non impara nulla, non fa errori. Infatti ogni volta che un bambino fa un errore, sta apprendendo il modo per migliorare. L'errore non è mai intenzionale in questo caso, quindi la pazienza della crescita porterà i risultati dovuti. Inutile volere un percorso di un'età differente.
8) Sii un ottimo esempio
Appunto. Se proprio ci pensiamo non è che lo siamo così tanto sugli spalti, a dire il vero...
Santa adolescenza, prega per noi! Lo sapete che è proprio in questo momento il picco in cui i ragazzi ci vedono come esempi? Siamo le persone più importanti al mondo, e loro spugne che osservano e imparano da noi. Quindi i nostri comportamenti e le nostre parole sono ciò che andrà a formare le loro basi di adulti. Facciamoci delle domande prima di agire e dire...
9) Insegna ma non fare pipponi
Anche qui sembra semplice, ma non è proprio così. Racconta ai tuoi figli delle tue esperienze e chiedigli delle loro; cerca di entrare nel loro mondo, ma non pretendere che loro entrino nel tuo: non ne sono ancora in grado.
Nessuno ama il cazziatone dopo aver sbagliato; insegnagli la vita, non dare lezioni sulla vita.
Anno nuovo, vita nuova. Spero che questo 2018 riesca a farmi diventare più tifosa e meno allenatrice, più mamma e meno tecnico. E soprattutto porti a lui tutto ciò che di meglio posso insegnargli.
Dentro e fuori dal campo.
29 dicembre 2017
Ci sono finali ed inizi. E poi c'è il periodo di mezzo dove poter scegliere
Si torna sempre a casa. Prima, dopo o durante, le 4 mura dove ti senti protetta restano sempre le stesse.
Funziona un po' così anche con le persone: ci sono quelle dove tornerai sempre, anche dopo mesi di assenza. Perché sai che troverai pace.
E funziona un po' così anche qui. Dove arrivo quando ho voglia di scrivere.
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