Visualizzazione post con etichetta tiroide. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta tiroide. Mostra tutti i post
27 settembre 2017
Ci sono fattori ambientali che influenzano lo sviluppo delle malattie tiroidee: quali sono
L'eccessiva funzione di iodo, la carenza di selenio e di vitamina D, il fumo, la flora intestinale sballata e alcuni farmaci, sono risultati dannosi nei confronti delle malattie autoimmuni.
Secondo il team capitanato dal prof Ferrari, alcuni fattori collegati all'ambiente possono giocare un ruolo rilevante nello sviluppo delle tiroiditi autoimmuni: non solo le radiazioni quindi influirebbero negativamente sulla tiroide.
Se mancano selenio e vitamina D non solo si deteriora ma pare anche sia più difficile eliminare i radicali liberi favorendo nel tempo infiammazioni e processi autoimmuni.
Lo iodo ha doppia funzione: se preso poco induce il gozzo, il troppo utilizzo può innescare anche in questo caso meccanismi patologici.
Per assurdo il fumo sembra abbia un effetto protettivo nei confronti delle forme di ipotiroidismo, ma aumenta 2 volte il rischio di ipertiroidismo nella Malattia di Graves e di 3 o 4 volte del rischio di esoftalmo (protrusione del bulbo oculare oltre la rima palpebrale) dovuta proprio a questo.
Tra altri fattori ambientali anche i virus non aiutano: il Parvovirus B19 e il virus dell’epatite C sono sospettate di contribuire allo sviluppo di tiroiditi autoimmuni, ma non si hanno certezze.
Tra i farmaci pollice sverso per quelli contenenti iodio e il tipo di interferone impiegato nella cura dell'epatite da virus C; i metalli pesanti come cadmio e manganese sono dei probabili coautori nello sviluppo del tumore alla tiroide.
C'è da chiarire che il 70% di presentare tiroiditi autoimmuni viene attribuito a fattori legati ai geni, ma anche i fattori ambientali in parte incidono nel loro sviluppo.
24 agosto 2017
Interazioni con la levotiroxina: ecco a quali farmaci stare attente
Non solo i cibi "nemici" dell'assorbimento della levotiroxina (leggi qui per sapere quali sono), ma anche i farmaci.
Il numero di pazienti trattati con tiroxina è aumentato nel tempo. Poiché l’ipotiroidismo, che riconosce nella tiroidite autoimmune la causa più frequente, presenta sintomi e segni aspecifici, è necessario confermare la diagnosi attraverso un esame di laboratorio.
Dal momento che il TSH è totalmente sensibile alla concentrazione plasmatica della frazione libera degli ormoni tiroidei, la sua misurazione viene utilizzata per valutare l’adeguatezza della terapia sostitutiva con levotiroxina.
Molti fattori possono aumentare la richiesta di dosaggio di levotiroxina in un paziente. Tali fattori includono la compliance del paziente, interazioni farmacologiche e malattie da malassorbimento.
Il suo assorbimento dipende dal pH e in media il 60–80% della dose somministrata raggiunge il circolo sistemico in 3 ore (2-5).
Il massimo beneficio si ottiene assumendo la tiroxina un’ora prima di fare colazione. Ciò serve ad assicurare il massimo dell’acidità gastrica ai fini dell’assorbimento.
È noto che determinati farmaci (amiodarone, litio e iodio) alterano lo stato tiroideo. Si ritiene che altri farmaci interagiscano con la levotiroxina alternandone l’assorbimento.
Alcuni studi (6-8) ad esempio hanno dimostrato che la simultanea somministrazione di levotiroxina e ferro solfato causa una recidiva dello stato ipotiroideo in alcuni pazienti. Anche gli estrogeni possono alterare i livelli circolanti della frazione libera degli ormoni tiroidei, per cui spesso è necessario aumentare la dose per compensare il loro effetto.
Anche il carbonato di calcio, impiegato come antiacido o per ridurre il rischio di osteoporosi in menopausa, può ridurre i livelli circolanti di ormoni tiroidei, causando un aumento dei livelli serici di TSH.
Tuttavia, trattandosi di piccoli trial clinici o di studi relativi a casi riportati, è difficile stabilire se i risultati possano essere trasferiti alla popolazione generale.
Inoltre, partendo dal presupposto che la tiroxina necessita di uno specifico pH gastrico per essere assorbita al meglio, anche gli inibitori di pompa protonica potrebbero avere un effetto sulla tiroxina.
Proprio per determinare quali farmaci alterano l’assorbimento e/o il metabolismo della levotiroxina e per stabilire quale percentuale di pazienti possa risultare coinvolto in queste interazioni, è stato condotto uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Endocrinology.
Si tratta di un’analisi retrospettiva sulla popolazione che ha collegato i dati di laboratorio con i dati di prescrizione tra l’1 gennaio 1993 ed il 31 dicembre 2012.
La popolazione in studio era rappresentata dai residenti in Tayside (età >18 anni) cui era stata prescritta la levotiroxina in almeno 3 occasioni, in un periodo di 6 mesi, prima di iniziare il farmaco in studio (N=10.999). I soggetti rappresentavano i controlli di se stessi, prima e dopo l’inizio del farmaco in studio (ferro, inibitori di pompa protonica, glucocorticoidi, calcio, anti-H2, DMARDs, estrogeni, statine).
L’età media di questa popolazione era pari a 58,1 anni; 8.977 (81,6%) erano di sesso femminile e 1.311 (11,9%) erano affetti anche da diabete.
Su 10.999 pazienti, 6.482 erano in trattamento concomitante con un farmaco in studio e 3.809 erano in terapia con una dose costante di tiroxina per almeno due anni.
Durante l’anno precedente al trattamento con il farmaco in studio non sono state osservate alterazioni statisticamente significative nei livelli di TSH in tutti i gruppi con una sola eccezione. Prima di iniziare il trattamento con estrogeni, i pazienti in questo gruppo avevano una riduzione media della concentrazione di TSH di 1,47 mU/L (p=0,008), nonostante la dose di tiroxina fosse costante.
In ciascuna analisi il numero di pazienti variava da 96 pazienti in trattamento con (DMARDs) a 1.944 pazienti con statine.
Come valore basale di TSH è stato utilizzato il valore ottenuto nella più recente misurazione della concentrazione serica prima dell’inizio dello studio.
È stato osservato un aumento statisticamente significativo del livello serico di TSH rispetto al basale in associazione a 4 farmaci in studio: ferro, inibitori di pompa protonica, calcio ed estrogeni.
È stata osservata una riduzione statisticamente significativa dei livelli serici di TSH in pazienti in trattamento con statine. Non sono state riscontrate modifiche statisticamente significative in pazienti che assumevano glucocorticoidi, anti-H2 o DMARDs.
Nel sottogruppo di pazienti con una dose costante di levotiroxina per almeno 2 anni (n=3.809), gli stessi 4 farmaci (ferro, inibitori di pompa protonica, calcio ed estrogeni) sono stati associati ad un aumento statisticamente significativo della concentrazione di TSH.
In particolare è stato osservato quanto segue:
Un aumento di <5 43="" 4="" 5="" 7="" calcio="" con="" dei="" di="" e="" estrogeni.="" ferro="" gruppo="" inibitori="" mu="" nel="" p="" pazienti="" pompa="" protonica="" quelli="" trattati="">Una riduzione statisticamente significativa della concentrazione di TSH <5 3="" a="" dei="" esposti="" mu="" nel="" p="" soggetti="" statine.="">Nessuna modifica statisticamente significativa nei pazienti trattati con glucocorticoidi, anti-H2 o DMARDs.
In sintesi
In questo ampio studio basato sulla popolazione è stata evidenziata la possibilità di un’interazione tra levotiroxina e ferro, calcio, inibitori di pompa protonica, statine ed estrogeni, per cui questi farmaci possono alterare l’efficacia della levotiroxina.
Per tale motivo:
*Bisogna monitorare attentamente le concentrazioni di TSH nei pazienti esposti a questi farmaci, in quanto un trattamento non adeguato può alterare la loro qualità della vita.
* È opportuno che i pazienti in trattamento prolungato con levotiroxina assumano questo farmaco 1 ora prima o 4 ore dopo un pasto o l’assunzione di ferro e calcio e ciò al fine di garantire che l’assorbimento della levotiroxina non sia alterato dalla somministrazione concomitante di altri farmaci, tra cui anche estrogeni ed inibitori di pompa protonica.
5>5>
Fonte: A cura di Alessandra Russo. UOSD Farmacologia Clinica. AOU “G. Martino” Messina
Oltre i farmaci potrebbero interessarti anche gli alimenti che possono interferire con la Levotiroxina: Ipotiroidismo: alimenti che possono interferire con la Levotiroxina (Eutirox)
09 agosto 2017
Ipotiroidismo: alimenti che possono interferire con la Levotiroxina (Eutirox)
La Levotiroxina in compresse interagisce col cibo presente a livello gastrointestinale, e questo può diminuire la quantità di farmaco assorbita. Per questo la terapia tradizionale deve essere assunta al mattino a stomaco vuoto, aspettando almeno 30 minuti prima di fare colazione.
Oltre a una ampia interazione con i farmaci, ecco quali sono i cibi che possono interferire con l'assunzione dell'Eutirox.
(Ciò vuol dire che è meglio assumerli lontano dalla pastiglia).
Ecco quali sono:
CAFFE': Riduce significativamente l'assunzione del farmaco. Assumere sempre a distanza.
POMPELMO: Mai prendere nessun farmaco col pompelmo: ritarda l'assorbimento intestinale e in questo caso diminuisce la biodisponibilità del farmaco.
SOIA: Contiene isoflavoni capaci di annullare il meccanismo di sintesi degli ormoni tiroidei
CEREALI: Soprattutto quelli integrali che contengono molte fibre, rallentano l'assorbimento
LATTE: Il latte neutralizza l'acidità gastrica utile per l'assorbimento intestinale, in più contiene aminoacidi che ostacolano l'assorbimento della tiroxina. (Anche per chi non è intollerante).
Si parla della forma liquida come panacea di tutti questi problemi, ma i pareri sono ancora discordanti.
08 agosto 2017
Cosa colpisce la tiroide? Ecco gli organi bersagliati quando non funziona bene
Nonostante sia una parte decisamente piccola del nostro corpo, la tiroide ha in mano gran parte del nostro benessere fisico. E' una ghiandola situata al di sotto della laringe (per chi non lo sapesse), destinata a produrre due ormoni: la tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3), che sono assolutamente importanti per il corretto funzionamento metabolico, nel processo di crescita e della maggior parte degli apparati dell'organismo.
Quando non funzione bene, ecco quali sono gli organi bersagliati.
Sistema Nervoso Centrale
Se nello sviluppo già in epoca fetale, esiste un mancato apporto di ormoni tiroidei nell'ultima fase gestazionale, si possono avere casi di cretinismo (ritardo mentale). Per fortuna esiste la diagnosi precoce.
Sistema Nervoso Simpatico
Gli ormoni tiroidei servono anche per aumentare il numero di ricettori particolari, con cui interagiscono le catecolamine (sono sostanze chimiche come l'adrenalina che trasmette impulsi nervosi alle terminazioni nervose simpatiche).
Dove? Principalmente nel cuore, nella muscolatura scheletrica, nel tessuto adiposo e nei linfociti.
Apparato Cardiovascolare
Anche l'apparato cardiovascolare è colpito dagli ormoni tiroidei, sia direttamente che indirettamente. Se in quantità eccessiva aumentano la vascolarizzazione periferica, aumentando l'irregolarità della frequenza cardiaca e la contrattura del miocardio. Viceversa, la loro mancanza (ipotiroidismo), è causa di bradicardia.
Apparato Respiratorio
Gli ormoni tiroidei influenzano la risposta dei centri nervosi allo stimolo respiratorio, ovvero permettono ai polmoni di agire nel modo corretto a seconda delle diverse esigenze (per esempio la carenza di ossigeno). Ecco perché in caso di ipotiroidismo è spesso associata l'iperventilazione e una certa compromissione dei muscoli respiratori.
Apparato Scheletrico
Oltre al cretinismo citato all'inizio, il mal funzionamento di una tiroide lavora in modo negativo anche sull'apparato scheletrico, portando nanismo. (Sistemabile se preso in tempo, con la cura sostitutiva).
Apparato Gastrointestinale
Gli ormoni tiroidei facilitano anche la motilità della muscolatura liscia gastrica e intestinale. In caso di ipertiroidismo si avrà spesso un movimento di contrazione intestinale che porterà a feci non formate; nel caso di ipotiroidismo invece, si può manifestare stipsi. In questo caso abbiamo un apparato digerente che risulta depresso e con un metabolismo rallentato. Ecco perché l'aumento di peso negli ipotiroidei è una certezza, purtroppo.
Apparato Riproduttivo
Anche l'apparato riproduttivo può essere un bersaglio per la tiroide che non funziona, soprattutto quello femminile. Nelle donne che soffrono di ipotiroidismo può esserci un'aumentata produzione di prolattina (parte dall'ipofisi), che può causare irregolarità del ciclo fino addirittura a far scomparire le mestruazioni in alcuni casi.
Apparato Emopoietico
Ovvero anemia. Gli ormoni tiroidei influenzano la produzione di globuli rossi a livello del midollo osseo. In caso di ipotiroidismo è frequente l'anemia proprio per questo motivo.
04 luglio 2017
Malattie autoimmuni: la Tiroidite di Hashimoto ha un rischio di 5 volte superiore, di sviluppare una seconda malattia autoimmune
Le malattie autoimmuni sono causate da errori del sistema immunitario, che aggredisce cellule dei tessuti sani invece di attaccare i nemici, virus, batteri, ecc. che l’organismo può ospitare. Possono colpire un solo organo o organi diversi anche nello stesso soggetto e in genere la causa non è nota.
"Una delle malattie autoimmuni più comuni è la tiroidite di Hashimoto che si riflette con una sintomatologia che va dall’ipo o all’ipertiroidismo o anche non avere necessariamente avere una sintomatologia evidente", spiega Michele Zini, Centro Malattie Tiroidee dell’IRCCS Arcispedale "S. Maria Nuova" di Reggio Emilia e membro AME, Associazione Medici Endocrinologi.
Un recente studio, pubblicato sulla rivista Autoimmunity Reviews, ha dimostrato che i pazienti con tiroidite autoimmune sono esposti al rischio di sviluppare nel tempo altre malattie autoimmuni in misura maggiore rispetto alle persone non colpite da tiroidite autoimmune. Le malattie autoimmuni sono state rilevate nel 19.5% dei pazienti con tiroidite autoimmune, e solo nel 3.9% dei controlli. Questo significa che avere una tiroidite autoimmune conferisce un rischio 5 volte maggiore di sviluppare una seconda patologia autoimmune oltre alla tiroidite.
Le malattie autoimmuni più frequentemente associate alla tiroidite indicate dallo studio sono la gastrite cronica autoimmune, la vitiligine, la artrite reumatoide, la polimialgia reumatica, la celiachia, il diabete mellito tipo 1, la malattia di Sjögren, la sclerosi multipla, il lupus eritematoso sistemico, la sarcoidosi.
Il problema può essere visto anche da una prospettiva diversa, e cioè arrivare alla diagnosi di tiroidite autoimmune partendo da altre patologie autoimmuni. Questo ha importanti ricadute pratiche, ad esempio, tutti i pazienti con diabete mellito tipo 1 devono essere periodicamente testati per valutare la funzionalità tiroidea e la formazione di anticorpi antitiroidei, soprattutto i bambini diabetici. I pazienti con malattie reumatologiche autoimmuni dovrebbero essere periodicamente valutati per cogliere la presenza di una tiroidite autoimmune, così come i pazienti con le altre patologie autoimmuni più frequentemente associate alla tiroidite. Il riconoscimento di una tiroidite autoimmune è semplice: bastano due test di laboratorio (TSH con metodo reflex e anticorpi anti-tireoperossidasi), eventualmente seguiti in caso di risultato patologico da una ecografia tiroidea.
Nella pratica clinica, l’endocrinologo e i medici di medicina generale terranno presente la possibilità che una seconda malattia autoimmune si manifesti nei pazienti con tiroidite autoimmune di Hashimoto, soprattutto in coloro che ne hanno una suscettibilità genetica: eventuali sintomi, dati di laboratorio, famigliarità possono essere indicatori per la ricerca di altre patologie autoimmuni.
Se, in teoria, sembrerebbe ragionevole ricercare attivamente la presenza di malattie autoimmuni in tutti i pazienti con tiroidite di Hashimoto, cercando di identificarle in una fase precoce quando ancora non hanno dato sintomi, al lato pratico, la numerosità delle possibili patologie autoimmuni rende molto difficile questa ricerca, che comporterebbe il ricorso a numerosissimi test di laboratorio ed esami strumentali. Inoltre, anche quando fossero colte in una fase iniziale, non è possibile mettere in atto una vera e propria prevenzione, cioè non si riesce ad evitare l’insorgenza della malattia conclamata.
Non esiste una manifestazione clinica comune a tutte le malattie autoimmuni, e i sintomi, i disturbi e le conseguenze cliniche delle malattie autoimmuni sono quelle specifiche di ogni singola patologia. Analogamente, non esiste un trattamento comune unico per tutte le patologie autoimmuni, ma ognuna viene trattata con farmaci e schemi specifici. E’ vero che per molte malattie di questo gruppo si ricorre a farmaci che sopprimono il sistema immunitario, ma i singoli farmaci, gli schemi, i tempi, le dosi e le associazioni sono stati studiati e validati singolarmente per ogni patologia. Analogamente, anche il decorso clinico di ogni malattia autoimmune è indipendente. In altre parole, non ci può aspettare che curando una malattie autoimmune anche le altre eventualmente presenti migliorino.
In conclusione, spiega l’esperto, "è bene conoscere queste interazioni tra patologie autoimmuni senza che questo diventi fonte di ansia dal momento che possibilità di ammalarsi non significa necessariamente malattia".
28 giugno 2017
Chirurgia della tiroide: 40.000 interventi all'anno
L’Italian Thyroid Cancer Observatory (ITCO), il primo osservatorio italiano sui noduli e sui tumori alla tiroide, presenta i risultati del suo lavoro con uno studio, realizzato attraverso l’analisi dai dati raccolti fin dal 2013 in pazienti con tumore tiroideo sottoposti ad intervento chirurgico.
«Ne scaturisce una fotografia netta, spiega Sebastiano Filetti, internista e Preside della Facoltà di Medicina, Università Sapienza Roma, che vede il 98% dei pazienti sottoposto a rimozione totale della tiroide e solo al 2% dei soggetti viene fatta la rimozione della sola parte interessata dal tumore, confermando che la scelta di un intervento chirurgico radicale è ancora ampiamente preferita a prescindere dalla categoria di rischio del paziente».
Il numero degli interventi richiede una riflessione. «Seppure la tendenza sia quella di ridurre il numero di interventi chirurgici alla tiroide, afferma Rocco Bellantone, endocrinochirurgo, Presidente ITCO e Direttore dell’Unità Operativa complessa di Chirurgia Endocrina e Metabolica del Policlinico Universitario “A. Gemelli” di Roma, in Italia ogni anno vengono effettuati oltre 40.000 interventi, che nell’80% dei casi riguarda il genere femminile. Negli ultimi anni però le nuove conoscenze scientifiche e l’esigenza di un maggior rispetto per le strutture anatomiche hanno portato all’affermarsi di una chirurgia meno invasiva e personalizzata sul singolo paziente. Così come è accaduto per i tumori alla mammella con la quadrectomia, anche per la tiroide si sente oggi la necessità di una chirurgia meno invasiva. La tiroidectomia totale, ossia l’asportazione totale della tiroide, viene consigliata infatti in caso di tumori differenziati della tiroide, mentre in presenza di microcarcinomi papilliferi, tumori con dimensioni inferiori ai 10 mm, ed nei casi di prognosi favorevole, può essere possibile unintervento meno esteso attraverso la rimozione solo della parte interessata che riduce il fabbisogno di terapia sostitutiva e si associa ad una minore insorgenza di complicanze metaboliche e anatomiche. Oggi quindi gli interventi sono sempre più a misura quasi come un intervento del sarto, conclude lo specialista».
Analizzare la realtà italiana, divulgare le novità della ricerca e le nuove linee guida, promuovere il confronto multidisciplinare tra i diversi specialisti coinvolti nella gestione della patologia oncologica tiroidea sono gli obiettivi della Fondazione ITCO che mira a una maggiore “personalizzazione” delle terapie operando per migliorare i protocolli di sorveglianza dei soggetti portatori di patologie tiroidee e con il fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse economiche del nostro sistema sanitario.
Personalizzare la terapia dei tumori tiroidei significa conoscere l’evoluzione, la storia naturale dei noduli tiroidei. «In ambito endocrinologico, i noduli alla tiroide rappresentano una delle problematiche di maggior frequenza, chiarisce Ezio Ghigo, endocrinologo e Direttore della Scuola di Medicina dell’Università di Torino. Alla palpazione, i noduli tiroidei si evidenziano nel 4-7% della popolazione generale, mentre il rilievo ecografico di noduli non palpabili si riscontra tra il 20 e il 67% dei casi, secondo i dati autoptici. La maggioranza dei noduli sono di piccole dimensioni, non danno disturbi e sono classificati come benigni dopo uno studio ecografico o un esame citologico con ago aspirato. Soprattutto, come documentato dai dati di un recente studio a cui hanno partecipato alcuni centri afferenti all’ITCO, la gran parte dei noduli alla tiroide non cresce di dimensioni nel corso del tempo (circa l’85%) e rimane benigna (circa il 99%). Negli ultimi anni si è verificato un aumento dell’incidenza dei noduli tiroidei seguito da un parallelo aumento dei carcinomi tiroidei, seppure non associato ad un aumento nel tasso di mortalità. Questo aumento si è registrato soprattutto per le forme tumorali meno aggressive (istotipo papillare) e per tumori con dimensioni inferiori a 1 centimetro. Uno degli scenari da considerare, che può dare almeno una parziale spiegazione a questo fenomeno, è la migliore sensibilità e il facile accesso ai moderni mezzi diagnostici che ha sicuramente influito nel “portare alla luce” quei piccoli tumori che probabilmente non sarebbero mai cresciuti fino a divenire clinicamente evidenti».
«Nei casi di rimozione totale o parziale della tiroide, la terapia sostitutiva con levotiroxina, l’ormone sintetico della tiroide (T4), è la cura standard. La tiroide, afferma Domenico Salvatore, endocrinologo e Professore Associato di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia, Università Federico II di Napoli, quando presente e funzionante, in realtà, produce due forme diverse di ormone: la T4 che viene convertita nella tiroide e nei tessuti periferici nella forma attiva T3. Tuttavia, un buon numero di pazienti privi di tiroide, così come il 10% di pazienti ipotiroidei, trattati con levotiroxina, lamenta sintomi quali perdita di memoria, aumento di peso, stanchezza, depressione e riduzione della qualità di vita tipici dell’ipotiroidismo nonostante valori ematici di ormone tireostimolante (TSH) normali. Si rileva che nel 20% dei casi di pazienti che hanno subito un’asportazione totale della tiroide il trattamento con levotiroxina non garantisce di ottenere ottimali livelli di ormoni tiroidei. Proprio per questo è sotto osservazione una terapia combinata di T3 e T4 che sembra in alcuni pazienti poter migliorare i sintomi di ipotiroidismo migliorando il senso di benessere. Il trattamento combinato con i due ormoni T3 e T4 è ancora in fase di valutazione da parte della comunità scientifica. Il trattamento farmacologico dell’ipotiroidismo ha visto negli ultimi anni sostanziali avanzamenti dovuti alle nuove formulazioni che favoriscono l’aderenza alla terapia dei pazienti, garantendo un assorbimento più rapido e stabile della T4 . Un recente studio italiano, condotto dal team del Prof. Bellantone, e recentemente pubblicato su Endocrine, ha mostrato come la formulazione liquida di levotiroxina sia da preferire anche nei casi di ipotiroidismo derivanti da tiroidectomia totale. Lo studio infatti mette inevidenza la maggiore efficacia della formulazione liquida rispetto alle compresse sia per quanto riguarda i valori dei parametri ematici di TSH e di ormoni tiroidei (T3 e T4) sia per quanto riguarda lo stato di benessere psicofisico del paziente».
«Il prossimo studio ITCO sarà centrato sulla valutazione della qualità di vita dei pazienti affetti e trattati per un tumore della tiroide, conclude il Prof. Filetti: è in procinto di iniziare uno studio multicentrico, italiano, mirato a valutare se cambia, e come cambia, la qualità della vita dei soggetti sottoposti ad asportazione totale della ghiandola tiroidea e in terapia sostitutiva ormonale, con l’obiettivo di comprendere quale intervento terapeutico sia in grado di ripristinare lo stato pre-operatorio del paziente».
Per maggiori informazioni ITCO Foundation: http://www.itcofoundation.org/
16 giugno 2017
Lettera di Hashimoto (non siete psicopatiche e basta)
Questa è una lettera pubblicata su ThyroidSexy il 02/02/2012 da un autore sconosciuto.
Per tutte quelle che hanno una tiroide fuori fase ma che non vengono credute (vedi la sottoscritta), tenetela a portata di mano.
“Ciao il mio nome è Hashimoto. Sono una malattia autoimmune invisibile che attacca la ghiandola tiroidea, causando ipotiroidismo. Ora starò sempre con te per tutta la vita. Gli altri intorno a te non possono vedermi o sentirmi, ma il tuo corpo mi sente. Posso attaccare ovunque e in qualsiasi modo. Posso causare dolori circoscritti e se sono di buon umore posso farti male dappertutto!
Ti ricordi quando tu e la tua energia correvate in giro e vi divertivate? Io ho preso la tua energia, fino al totale esaurimento. Prova a divertiti ora!
Posso rubarti il sonno e in cambio ti lascio la mente annebbiata e mancanza di concentrazione. Posso farti venir voglia di dormire 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e posso anche causare insonnia. Posso farti tremare internamente o farti sentire freddo o caldo quando tutti gli altri sono a loro agio. Posso anche gonfiarti le mani e i piedi, il viso e le palpebre, oppure darti gonfiore ovunque.
Posso farti sentire molto ansioso o molto depresso, ma tanto! Posso anche causarti altri problemi di salute mentale.
Ti posso far cadere i capelli, farli diventare secchi e fragili, causarti l’acne, farti venire la pelle secca, nulla per me è impossibile.
Posso farti ingrassare e non importa che cosa mangi o se fai esercizio. Non riuscirai più a perdere quei chili, ma posso anche farti perdere peso. Non disdegno nulla!
Altre malattie autoimmuni, amiche mie, spesso si uniscono a me, dando ancora più sintomi negativi da affrontare.
Se pianifichi qualcosa o stai aspettando l’arrivo di un grande giorno, io te lo posso rovinare. Non sei tu ad aver chiesto di me. Io ti ho scelto per vari motivi: quel virus o diversi virus che avevi e che non hai mai veramente debellato, o forse un incidente d’auto, o forse periodi negativi dovuti a traumi emotivi come per esempio maltrattamenti (io mi sviluppo bene con lo stress). Potresti avere una componente ereditaria familiare. Qualunque sia la causa, io sono qui per restare.
Ho sentito che stai andando da un medico per cercare di sbarazzarti di me. Questa cosa mi fa ridere. Tu provaci!. Dovrai andare a molti appuntamenti, vedrai molti medici prima di trovare quello che ti potrà aiutare in modo efficace. Ti daranno i farmaci sbagliati, antidolorifici, sonniferi, energizzanti, ti verrà detto che soffri di ansia o depressione e ti verranno prescritti ansiolitici e antidepressivi.
Ci sono tanti altri modi in cui posso farti ammalare e debilitarti, la lista è infinita : quel colesterolo alto, problemi alle colecisti, la pressione sanguigna alta, problemi di zuccheri nel sangue, oppure problemi cardiaci. Questi valori sono probabilmente collegabili a me. Non riesci a rimanere incinta o hai avuto un aborto spontaneo? Anche quello sono io!
Denti e problemi gengivali? Dolori alle articolazioni temporo mandibolari? Ti avevo detto che la lista era infinita!
Ti possono far fare sedute di TENS (Stimolazione elettrica nervosa transcutanea), farti fare dei massaggi e dirti che dormendo le corrette ore di sonno e facendo esercizio fisico quotidiano, io andrò via.
Ti verrà detto di pensare positivo, sarai spronato e soprattutto non preso sul serio, quando tenterai di spiegare a quel numero infinito di medici che hai visto, quanto io possa essere debilitante e di come tu ti senta veramente male. Con tutta probabilità ti verrà consigliato da questi medici (incapaci), di vedere uno psichiatra.
I tuoi familiari, amici e colleghi ti ascolteranno fino a quando non saranno stanchi di sentirti dire come io ti faccio sentire male e quanto io sia debilitante. Alcuni di loro diranno cose come “ma dai hai solo avuto una brutta giornata” oppure “ricordati che non puoi fare le cose che facevi 20 anni fa…” non hanno ascoltato nulla di quello che hai detto negli ultimi 20 giorni.
Ti consiglieranno cose come: “Devi solo alzarti, muoverti e uscire e fare delle cose, vedrai che ti sentirai meglio.” Loro non capiranno che io ti prendo il “carburante” che alimenta il tuo corpo e la tua mente necessari per consentirti di fare quelle cose. Alcuni ti parleranno alle spalle, diranno che sei un ipocondriaco, mentre lentamente sentirai di perdere la tua dignità nel cercare di far loro capire come stai. In un dialogo con persone ”normali” tu ti dimenticherai persino cosa stavi per dire. Ti verranno dette cose come: “Anche mia nonna ha questi sintomi e sta bene con questo farmaco”, mentre tu cercherai disperatamente di spiegare che io non mi manifesto a tutti nello stesso modo. Solo perché la nonna in questione ha dei risultati positivi con quel farmaco che sta prendendo, questo non significa che il farmaco funzionerà per te. Otterrai sostegno, solo con le persone malate come te. Sono veramente gli unici che ti potranno capire.
Io sono la malattia di Hashimoto.”
Iscriviti a:
Post (Atom)
-
Avrei voluto esserci. Ma non l'ho fatto. Eppure sono lì con il cuore e la tristezza da giorni, da quando ho saputo che tua mamma non c...
-
Ieri c'è stato il funerale. Io sinceramente ho ancora la testa nel pallone , ancora penso a lei, ai suoi figli, a suo marito . Mil...
-
A volte mi domando che cosa faccia incontrare le persone. Quale disegno ci sia dietro per conoscere qualcuno completamente fuori dal mo...
Cerca nel blog
Etichette
PersonalMind
Salute
PersonalStories
Pensieri^Parole
Amore^Amicizia
amore
Me^You
Tech
sesso
Amicizia
Pensieri
malinconia
stanchezza
Eutanasia
SMA
Tiroidite di Hashimoto
lorenzo
tradimento
vasco
Gramellini
Notte di San Lorenzo
PersonalTech
PersonalWork
PersonlTech
lollo
operazione alla tiroide
speranza