11 settembre 2009

A volte la chiamano adrenalina

Quella fu una di quelle serate in cui riflettere. E come sempre, come ogni volta, quasi alla stessa ora che sembrava calcolata, si ritrovava sola con se stessa e i suoi pensieri. O meglio, voleva ritrovarsi così.

Le giornate di lavoro erano intense, poi la casa, tutte le routine solite e finalmente un pizzico di se stessa. Quanto le piacesse non lo sapeva ma erano giorni, se non ormai mesi, che lo specchio dell’anima faceva capolino e tutto sommato non voleva scappare da quella instabile condizione.

Cosa c’era di cosi forte a cui pensare? Molte, troppe cose erano paesaggi freddi e strade tortuose nella sua vita da scorrere … talvolta come semplice spettatore, talvolta come regista. Ma pur sempre, forse, troppo coinvolta. Non le erano mai scivolate addosso le situazioni esterne e spesso aveva invidiato chi lo sapeva fare, ma alla fine tutto sommato, ne aveva tratto la conclusione che si piaceva così, non indifferente.

Anche se non era proprio facile così, perché ogni volta, si scontrava anche con la sua indomabile preoccupazione che sfociava troppe volte in ossessività. Anche senza volerlo. Eh … quante cose non avrebbe voluto fare o avrebbe voluto cancellare …. Quante frasi, quanti sguardi, quante emozioni vissute sul filo di lana stupidamente. Ma ne valeva la pena di cancellarle?

Forse semplicemente no. Perché quando le vibrazioni esistono … chi ti può dire che non ne è valsa la pena viverle seppur sbagliate? L’ultima cosa in cui credeva era che una vita piatta e monotona, vissuta nella tranquillità delle certezze assolute, fosse la cosa giusta. 

No, non poteva esserlo dopo aver pianto così tanto per poche sue parole dette con quel tono rigido, austero … E no, non poteva esserlo se ripensava ai suoi sorrisi così pieni di battiti d’ali di gabbiani, dove poteva vedersi il riflesso delle onde al tramonto, quando i colori si fondono e il mare diventa una tavolozza di acquerelli consumati, mischiati, sfumati, uno dentro nell’altro, come a respirarne le infinite tonalità …

Come avrebbe potuto pensare che quelle rassicurazioni che tanto aveva cercato fino ad allora, l’avrebbero resa “stabile?”. Era proprio quell’incertezza piena di vita protratta verso l’incognito, che infondo le permetteva di scontrarsi con il suo cuore e la sua anima. E i giorni di pioggia, alternati a lampi di sole … si … quelli erano quella che si potevano chiamare vita. A volte troppo dura, quando il macigno sulle spalle ti schiacciava, quando il burrone ti cingeva le caviglie e non riuscivi  a uscirne.. avete presente Sulla soglia dell'eternità di Vincent van Gogh

Ecco, solo chi ha provato, sa come definirla e conosce la forza impressionante di quella condizione. Non si può spiegare, è impossibile. Ma a volte così meravigliosamente intrigante, sensazionale, da lasciarti preda solo di aprire i polmoni e sentirne i profumi. Un suo gesto, un suo sguardo, un suo tocco leggero … e la pelle che si sveglia, si contorce … lo stomaco che si chiude non per rifiutare ma per non lasciare scappare nulla … a volte la chiamano adrenalina. 


Non le piaceva troppo come termine, ma l’effetto poi alla fine, era proprio quello. E non le importava se non aveva capito perfettamente il senso di tutto ciò ma sapeva, chissà per quale strana ragione, che anche se la strada presa non sarebbe stata quella giusta, avrebbe comunque avuto ricordi  da raccontare. 

E forse, pochi rimpianti da dimenticare ….

09 settembre 2009

Fiaccolata @Milan contro l'omofobia


Ok, the day after. Ci sono andata, ero là con chi ha organizzato e voluto partecipare alla fiaccolata contro la violenza gratuita a Milano.
A dire il vero, non sono abituata a partecipare a queste cose, anzi, diciamo che non lo sono mai stata, ma questa volta l’ho voluto fortemente.
Perché la violenza gratuita contro persone, animali, sentimenti, ideologie, natura… sta aumentando in modo esponenziale e non se ne può più direi. Ho un figlio e questo, da mamma, mi permette di capire che vorrei insegnarli il rispetto per tutto ciò che deve essere vissuto nel migliore dei modi.
E non mi riferisco al fatto che un domani mio figlio si possa innamorare di un uomo… ma che non faccia del male anche solo attraverso battute di cattivo gusto, verso chi ha scelto (che poi si può dire che è una scelta? Credo sia una situazione spontanea…) di amare in un altro modo. Soprattutto non insistere e non umiliare.

Perché noi poveri bigotti siamo sempre stati pronti a puntare il dito. O meglio gli altri. Perché io ho voluto “sfanculizzarlo” quel dito puntato, quelle paure che mi hanno inserito nella testa da piccola verso chi è gay o lesbo, quel “non è così, non è giusto”.
Io c’ero. Ho trovato amici e colleghi, verso i quali mai si è parlato di come e di chi si ama, perché si è semplicemente cosi, senza mettere etichette. Alla fine un abbraccio è un abbraccio, un bacio è un bacio e l’amore? Beh anche quello è in diverse forme: dall’amicizia, al sesso, ad una vita insieme… non sono pur sempre forme diverse d’amore?
Ieri sera non ci sono state interferenze. Tutto è stato ricco di significato ma nessuno show né attacco da parte di qualcuno controparte. Un corteo “importante”, fatto da persone “normali”. In mano molte candele e bandiere legate. Una passeggiata per dire no alla violenza soprattutto, quella gratuita. Si sono sentite battute, chiacchiere, sorrisi e in chiusura un grande applauso, come a sottolineare la forza di chi fosse proprio li, in quel momento.
Mi  piaciuta, molto. L’ho sentita, ancora di più. Ero con chi stavo bene. A parlare di cose serie, e a ridere di cazzate. Ho incontrato famiglie, uomini in giacca e cravatta, ragazzi con la maglietta heavy metal sfilare in corteo.
Io etero e loro no. O loro gay e lesbo e io no?

07 settembre 2009

La "mia" libertà


Era un periodo così, di quelli che tutti sanno definire come “difficili”. Che poi a dirla tutta non ho mai amato generalizzare. Era un periodo così. Di quelli in cui tutti ti danno fastidio, in cui cerchi comunque un appiglio per tentare di sorridere e che poi trenta secondi dopo, ti accorgi che non ne hai proprio voglia.

Uno di quei periodi in cui la mente viaggiava solo verso una cosa o una persona, in cui non trovavi quello che volevi, a saperlo poi cosa volevi veramente. Uno di quei periodi in cui il vento dei cambiamenti comunque ti sorprendeva e ti ritrovavi a essere involontariamente o no un’altra.

Ho sempre avuto paura del buio. Si, proprio come i bambini… non so cosa ci ho sempre trovato di così terrificante… ma il non sapere, l’incognita di una spiacevole sorpresa ha sempre fatto si che comunque andasse, ci fosse una piccola luce a tratteggiarmi i contorni. Ecco, in quel momento, in quei giorni, il buio invece mi coinvolgeva a tal punto da richiederlo. Spegnevo tutto e appoggiavo la testa chiudendo gli occhi. Era una liberazione… note leggere colmavano la sensazione di svuotamento che si librava leggera nella mia testa, come a cancellare, o meglio a chiudere nei vari cassetti ordinatamente (e non sono ai stata ordinata) tutto ciò che durante il giorno passava attraverso i miei occhi e la mia anima.

Scompartimenti, li chiamano. Respiro, lo chiamavo io. Un respiro forte, di distacco dal dolore, da quell’incomprensibile situazione di malessere noioso che mi aveva coinvolta. Il posizionare in modo irrazionale l’irrazionale, mi faceva sentire quasi a posto con me stessa. Poi certo, c’erano persone a cui era legato un valore diverso… qualcuna più importante, da togliere il fiato se non andava bene e qualcun’altra che aveva preso strade diverse dal mio io.

C’è chi mi ha detto che dovevo crescere, chi non mi riconosceva più perché ero cambiata, chi si è allontanato per uno screzio o chi viceversa, si è avvicinato di più di prima. Non so cosa realmente fosse, sapevo di fare male e bene contemporaneamente, credevo di sapere che percorso seguire e poi mi ritrovavo perennemente a giustificarmi davanti allo specchio per i mie errori. Ma tutto sommato era quello che volevo. Essere così, con i miei sbagli, le mie parole dure, e le mie dolcezze nei confronti di persone forse sbagliate. Sapevo che un giorno, magari, me ne sarei pentita. Ma la cosa più vera… è che non mi importava.

Avevo solo voglia di vivere.

E stavo vivendomi per la prima volta. Sentivo quel vago profumo di libertà e personalità che per anni avevo accantonato, infondo rimanendo sempre “una brava ragazza”. E alla fine questo mi faceva pensare di essere proprio l’opposto. Ma non si dice solitamente che essere cattiva o fuori norma è combinare qualcosa di davvero grave? Era davvero grave provare a viversi? Certo, le domande venivano una dietro l’altra. C’erano giorni in cui provavo a rispondere e giorni in cui il foglio rimaneva completamente bianco, con quel menefreghismo legato a quella falsa invincibilità temporanea..

Amavo rifugiarmi all’aperto, seppur su un semplice e anonimo balcone. Guardai per molte sere quel cielo di fine estate pieno ancora di stelle. Avevo grandi alberi a fianco a me e dal tramonto passavo al buio della notte. Alle tre ero capace di essere ancora li, a respirare aria, a respirare me. A volte in silenzio, a volte con la musica sotto, a volte parlando, con chi, era indifferente. Ricordo ogni singola serata così, mi riempiva l’anima, in ogni angolo, in ogni anfratto.

Mi perdevo talvolta nei pensieri e ripercorrevo voci, attimi trascorsi, sensazioni, emozioni… ridevo e piangevo… ero tasti di un pianoforte suonati da un musicista pieno di amore per la sua donna. Un insieme di note bianche e nere. E mi lasciavo cullare dalle sue dita… completamente in balia di quella musica. Non ricordo quanto durò quel periodo, non so se sono mai ritornata la stessa di prima.

Ho incontrato sulla mia strada persone che mi hanno cambiata, legata, buttata, ma ad ognuna il mio pensiero è ancora legato, perché tutte, infondo, mi hanno regalato quell’attimo di libertà e di introspezione che mi ha permesso di rafforzarmi. E di essere parole in libertà nel raccontare tutto ciò. Non so se il mio grazie gli arriverà mai, ma i loro nomi saranno sempre impressi in quel buio che ora, non mi fa più paura.

05 settembre 2009

Dire addio... e non riuscirci...


Decise di dirgli addio, in qualche modo, ma sapeva perfettamente che non sarebbe riuscita a farlo guardandolo in quegli occhi. Infondo era l’ultima cosa che voleva fare, ma ormai era diventata una questione di sopravvivenza.

Avrebbe voluto scrivergli una lunga lettera, di quelle che senti ancora l’odore dell’inchiostro, di quelle con gli errori cancellati con un pastrocchio, ma si sentì vecchia… e decise che forse una mail alla fine era il modo più veloce ed indolore per lei e forse per lui, che avrebbe potuto fare un semplice “elimina”.

Come lei voleva provare a fare con lui. Si sa quando l’affetto alla fine è capace di fare male… alla fine ti rimane solo la parola addio. “Nuova mail”. Eccolo li quel foglio bianco virtuale sul quale avrebbe potuto scrivere di tutto, essere chiunque e soprattutto non far vedere quelle lacrime che solo al suo nome scendevano lente e inesorabili. Non poteva farci nulla, era così forte quel magone, che ogni volta si ritrovava a confrontarsi con una mare di sentimenti così contrastanti da sfociare sempre nello stesso modo, investita da quell’impotenza così viva da stringerle la gola.

Cercò un attacco ma le prima parole che scrisse furono “Hai saputo fare solo male”, non trovava altro, nulla di meno diretto. Cercò di staccarsi dal suo io, dal suo dolore, cercò di essere, per una volta “dura”. E iniziò piano a piano a sfogarsi, mentre le dita sempre più vorticosamente picchiettavo su quella tastiera.

Hai saputo fare solo male. Hai disfatto e creato a tuo piacimento. Hai buttato via quando ti è parso. Hai accusato, chiesto scusa e poi cancellato tutto, anzi peggio...sei diventato un’altra persona senza dare spiegazioni. Solo pochi giorni che era tornato il sole...ma dimmi, ti prego dimmelo, perchè ora sto davvero male... che cosa ho fatto di sbagliato per conoscerti?

Quando è stato cosi per te, è stato cosi e basta. Ma cosa credi che non si è capito che la tua rabbia è sempre stata rivolta a me? Se sparito da ogni minimo contatto, il tuo sguardo e il volto sono stati peggio di lame taglienti... hai creduto di essere l'uomo mascherato e che nessuno abbia visto?

Tutte bugie… cose dette che mi sembravano vere, piene di sentimenti contrastanti....e poi sei riuscito a buttarmi dalla tua vita un'altra volta. Ti ho chiesto aiuto un'ultima volta, non me lo hai dato, neanche mi hai considerata.

Dimmi, mi odi a tal punto o questo succede perchè infondo mi vuoi bene?

Spero, un giorno, (e solo chissà chi, mi fulmini per quello che sto per scrivere) che qualcuna ti massacri più di quello che sai fare tu, di più e ancora di più, anche se lo ritengo impossibile che qualcuno possa fare peggio. E che tu ti ritrova di fronte all'impotenza più assoluta come quella che sai dare… dove le cicatrici non passano... dove forse, capirai che male sai fare.

Non è servito nulla seguire il percorso. E' servito ad essere qui ancora una volta a piangere... Hai di nuovo deciso che io non valevo nulla e quest’ultima volta non posso continuare (e sinceramente non ce la faccio) a cercare un modo per rialzarmi dopo che mi hai uccisa ancora.

Che cos'è?...Ho avuto la capacità di emozionarti? Di farti arrabbiare cosi tanto con te stesso da dovermi escludere? O forse sei riuscito a volermi bene davvero e hai avuto paura? O hai preferito scappare da chi, anche in un’altra parte del tuo mondo, ha tentato di riuscire a capirti? Fosse stata solo una infinitesimale parte cosi, anche se nelle fantasie, allora sarei riuscita a non sentirmi il nulla, di non sentirmi in errore perennemente.

Tanto ormai, e questa mail ne è la prova, sono morta dentro e forse ho finito anche le lacrime, chi se ne importa di tutto, del mondo e del resto. Me ne andassi in questo momento… mi mancherebbero solo i tuoi dolci occhi, così dolci in alcuni momenti, quelli che infondo voglio permettermi di ricordare.

Ma chi sei stato se non solo un semplice uomo come tutti gli altri? E io non posso continuare a morire per te, ogni singola volta, anche quando non è stata colpa mia, ma solo cattiveria.

E tu li sempre imperterrito con il tuo modo di essere, a calpestarmi. Ad avermi escludo dalla tua vita ogni qualvolta tu ne abbia sentito la necessità. E sei stato li con la tua maschera anche di fronte alla persona che stava sanguinando per te.

Avrai un altro cartellino con il numero sulla coscienza. E' quello che hai sempre voluto no? Non sei felice e libero finalmente da me? Tira pure il fiato ed esci dai tuoi dubbi... il mondo ti aspetta e ti amerà come ha sempre fatto. Io sono l'errore, anzi forse mi sono data anche troppa importanza... che stupida che sono stata..

Sai cosa ti dico? Ogni tanto, solo ogni tanto, prova a lottare anche tu per avere o tenere le persone a cui vuoi bene, non massacrarle e basta.

Ma tanto alla fine, sono solo parole buttate, nessuno è mai stato indispensabile per te....”

Le parole ebbero fine nel momento stesso in cui l’ultima goccia cadde sulla tastiera. Rilesse velocemente quella lettera… Trovò qualche errore, cambiò qualche frase… Le bastava solo fare “invia”. Si accese un’altra sigaretta.

Passarono giorni da quella mail. Rimase nelle bozze per lungo tempo e forse ancora oggi non è stata spedita. Non ci riuscì a dirgli addio, se non in quell’angolo nascosto del cuore dove ognuno ha la sua parte più forte. Perché è vero che fa male, fa cosi male da morirne…ma lei non era così, non riuscì ad essere così forte. Avrebbe provato prima a crescere, a cercare un altro percorso, a tentare di far si che tutte quelle lacrime diventassero acqua per dissetarsi e non simbolo di dolore.

Avrebbe provato a capirlo, a sentirne il profumo senza perdersi, ad amarlo così… sentendo il vento sul viso che quando meno te lo aspetti sparisce o diventa un tornado, portandoti via. Avrebbe messo in conto che il destino può essere tutto o niente e che non si può decidere per lui. Chiuse la mail e guardò il cielo, con quel nodo in gola che non andava via…

...ma non riuscì a dirgli addio.

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