23 marzo 2012

Lavoro, questo sconosciuto



E' inutile, nonostante il mio continuo borbottare, devo ritenermi una persona fortuna. Proprio stamattina, come sempre in bagno dove è l'unico momento che riesco a prendere ancora in mano un giornale e leggerlo, sfogliando le pagine di A, mi sono imbattuta nei commenti di diversi ragazzi sparsi per il mondo, sul lavoro.

Chi scappa dalle responsabilità, chi vive ancora in casa a 30 e passa anni, chi non ha voglia di impegnarsi a lavorare, chi non trova un lavoro fisso, chi ci prova a realizzare un'idea.

Ho ormai 38 anni, non sono più annoverabile tra i ragazzi. O forse sì, vista l'età che avanza soprattutto in Italia. Lavoro da quando avevo 18 anni e mentre finivo il liceo iniziavo a volere quell'autonomia economica che mi permetteva allora di uscire a bere una birra con il mio ex fidanzato (di 18 anni più grande) senza dover chiedere sempre ai mie.

Ho iniziato come lavoratore autonomo. Partita IVA, commercialista, tasse e via che ce la cantiamo. Poi nel 2000, botta di culo. Posso finalmente coronare il mio sogno e diventare giornalista.

Mollo tutto, vengo assunta con contratto in una casa editrice previo praticantato e esame di stato. Ovviamente, già 12 anni fa, la clausola di non avere subito figli era nel pacchetto aziendale. 

Dimenticavo, nel frattempo, una settimana prima di andare nel nuovo posto di lavoro, mi sposo, piccolo particolare. Due linee parallele: la voglia di avere una famiglia come nei film (bambini, cane, casa, e non in ultimo un marito) e il tanto agoniato posto fisso.

Pazienza, come sempre si sa che le cose arrivano tutte contemporaneamente. Infondo sono una ansiogena ma non mi sono mai fermata davanti alle paure. Faccio questo benedetto esame e al primo colpo passo. Ecco il contratto a tempo indeterminato come giornalista.

Non più partita Iva, conteggi e riconteggi, tasse esagerate da pagare che ti tolgono il fiato, giri su giri per cercare di aumentare il lavoro e avere qualcosa di "fisso" almeno per mangiare durante il mese. D'altro canto non più libertà di azione, di poter non fare nulla una mattina lavorando tutta la nottata per consegnare il lavoro... ma insomma, aspettare il 27 per avere in mano una busta paga.

Ammetto che nonostante siano passati 12 anni nella stessa azienda, io non sappia ancora leggerla. Ovvero mi sono fermata ai giorni di ferie (che ancora però non concepisco come calconino) e al netto, ovvero quelle piccole cifre che so andranno sul conto corrente.

Altro tasto dolente: povero conto corrente, adora il rosso nonostante il mio tempo indeterminato. Pazienza, forse un giorno ci chiamerà la banca per chiederci come mai sia tutto a posto.

In questi 12 anni proseguo anche l'altra strada: due figli (di cui il primo purtroppo non c'è più ma è sempre un'altra storia), un cane, un gatto, una tartaruga e sempre il solito marito tra alti e bassi.

Mi sento ormai della vecchia guardia: guardo i giovani e i meno giovani che stanno tentando di arrabattarsi tra università, lavori in nero, collaborazioni infinite. Uno, due, tre anni senza mai avere uno straccio di contratto. E dall'altra parte la totale mancanza di ideali e sogni. 

Quelli che non hanno voglia, che si sentono già manager di cosa poi, dovrebbero spiegarmelo. Quelli che gli fa schifo un posto di lavoro all'esselunga o da mcdonald perchè loro valgono. Poveretti.

Noi almeno i sogni li avevamo. E io sono una di quelle che non provengo da una famiglia ricca: una madre casalinga che ha scelto di tirare su due figli lasciando il suo lavoro di commessa e un padre artigiano che lavorava anche di notte per non farci mancare nulla. Rido all'idea di chi fa la lotta per ottenere gli scontrini fiscali e le ricevute. Forse non sa che talvolta è impossibile pagare le tasse da quante sono per i piccoli imprenditori da sempre bistrattati.

Non è dal basso che bisogna partire, ma dall'alto se vogliamo resistere in questo periodo di casse integrazioni, chiusure e quant'altro.

Sta di fatto che mi hanno portata avanti i sogni, quelli veri, quelli che ti fanno sentire viva. Quelli che se vuoi sono scontati come un posto fisso, quelli che poi non ti arrabbi più di tanto se non arriva un aumento perchè comunque sai che ha fine settimana puoi lo stesso comprare le figurine a tuo figlio, quelli che ti danno un'adrenalina sana, lontana dall'emozione di notti in discoteca ad alcolizzarsi e fumare anche l'erba del parco Sempione pur di sballare.

Ecco, io spero di insegnare a sognare a mio figlio. Di crescere e farsi il culo per riuscire a realizzarli i suoi sogni, andando contro tutti e tutto pur di arrivarci se sono sogni "sani". Fa nulla se non fa figo sognare, se stanca da morire, se prendi tante di quelle batoste da farti sanguinare il cuore.

Ti possono togliere tutto ma non i tuoi sogni.

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